L'opinione
Ma i grandi del mondo fanno arrabbiare la Cina
Il nemico di questo G7 è un nemico che il mondo non si può permettere, soprattutto da un punto di vista commerciale: la Cina
Lo storico americano Norman Kogan, nella sua analisi del ’63 sulla politica estera, scrisse: «Le caratteristiche essenziali di un sistema politico non possono essere isolate dall’ambiente sociale. Gli atteggiamenti nei confronti della politica derivano direttamente da quelli verso la vita». Ed è proprio per questo che non ci sembra un dettaglio quell’annuncio del G7 del 2024 in Puglia. Non è una frase da campanilismo incancrenito o da provincialismo ottuso, ma una speranza di poter ribaltare questo fallimentare consesso di Hiroshima, che non solo non ha avuto alcun ruolo verso la mediazione diplomatica circa l’Ucraina e la Russia, ma ha anche ulteriormente intensificato una corsa al riarmo, creando nuovi toni di conflittualità, soprattutto ponendo l’accento su focolai di guerra che – da anni – si cerca di tener a bada.
Il nemico di questo G7 è un nemico che il mondo non si può permettere, soprattutto da un punto di vista commerciale: la Cina. A chi gioverebbe? I grandi di una parte di mondo (non dimentichiamo che parallelamente Xi ha ospitato a Xian, antica tappa della Via della Seta, il summit con Kazakistan, Tagikistan, Kirghizistan e Uzbekistan), andando dietro alla cosiddetta «diplomazia del realismo» del leader giapponese, peraltro ora in crescita nei consensi, hanno puntato numerose volte il dito contro la Cina, trasformando il tema Taiwan, al momento ancora in prevalenza a carattere regionale, in un problema del G7. Che cosa ha suscitato questo? Innanzitutto l’imbarazzo del Brasile, che ha notevoli rapporti con la Cina, ma ha allontanato anche quella possibilità di mediazione, che era stata in parte ascoltata dal leader ucraino nei suoi contatti con Xi.
Uno dei primi risultati fallimentari ottenuti al G7? Con questi toni aspri, mentre si commemorava il disastro storico di Hiroshima, si sono incrementate, anche abbastanza esplicitamente, paure che, ad oggi, coinvolgono non solo la Corea del Nord, ma anche quella del Sud, che tenta la sua rincorsa all’arma nucleare. I primi effetti, per ora esclusivamente verbali, si sono riscontrati nella tarda serata del 20 maggio, quando la Reuters ha riportato l’indignato punto di vista cinese, che si oppone fermamente alla dichiarazione congiunta del G7.
Il ministero degli esteri cinese ha chiaramente affermato che l’ultimo G7, ignorando ogni preoccupazione della Cina, ha ritenuto di attaccarla frontalmente, interferendo nei suoi affari interni, compresa Taiwan.
Questo parziale disastro internazionale ha avuto un momento di buonsenso: papa Bergoglio, inviando una lettera al vescovo di Hiroshima, mons. Alexis Mitsuru Shirahama, ha riportato toni di pace, ricordando ai leader lì riuniti come l’arma nucleare non sia adatta a risolvere nessun problema. Ha ricordato che l’impatto umanitario e ambientale derivato dall’uso di armi nucleari alimenta solo il clima di paura, poiché ne moltiplica gli effetti collaterali senza cercare autenticamente soluzioni.
Un dato è evidente: il controverso ruolo di Biden. Condivisibile quanto ha scritto, in questi giorni, l’Economist: la visione globale di Biden è troppo timida, impacciata, disarticolata. È stato anche pubblicato un briefing per valutare le opinioni di Kissinger su come l’America e la Cina devono assolutamente imparare a vivere bene insieme, incastrando gli interessi di parte. Invece questo modus operandi emerso a Hiroshima danneggia tutti. Un prossimo G7 in una terra di unione fra Oriente e Occidente com’è l’Italia, e in particolare la Puglia, dovrà puntare a cambiare registro, tenendo conto che il mondo multipolare trae vantaggi solo da sforzi pacifici.