Punti di vista

I geologi lanciano l'allarme: gestire i fenomeni non le emergenze:

Rossella Palmieri

Un tempo assassino ha sfiancato coltivazioni e smosso terreni da sempre a rischio e mai opportunamente assestati

Lucrezio, nel De Rerum Natura, così descrive le alluvioni: «esistono invisibili corpi di vento e acqua. Scorrono e spargono strage, quando la molle natura dell’acqua s’avventa». Sembra oggi e non secoli fa, lì dove, dalle nostre parti, un tempo assassino ha sfiancato coltivazioni e smosso terreni da sempre a rischio e mai opportunamente assestati. Le ciliegie hanno pagato pegno per le forti precipitazioni, le raffiche di vento, l’umidità e persino le nebbie. Un grido d’allarme è partito dalla Presidente pugliese dell’Ordine dei geologi Giovanna Amedei che ha evidenziato pericoli nel foggiano sottolineando come, sono sue parole «si continua a lavorare sulle emergenze, si insiste nel non capire l’importanza di una pianificazione».

E molto altro non si comprende, verrebbe da dire, relativamente a questa cecità rispetto ai fenomeni meteo estremi che si fanno sempre più frequenti. Non sarà forse meteoropatia, poi, ma chi di noi non è stato lambito almeno una volta – in queste settimane in cui il sole non ne vuole sapere di farsi vedere – da un’uggia senza pari, che non ha nulla a che vedere con il romanticismo da «camminando sotto la pioggia». Semmai il contrario: strade allagate e disagi di varia natura negli spostamenti hanno reso tutto faticoso in questo maggio che non dà tregua. Per giunta, in settimana, sotto la pioggia battente abbiamo dato l’estremo saluto al sindaco delle Tremiti Giuseppe Calabrese – lui sì che di pioggia e tempeste ne sapeva qualcosa; e paradossalmente ci ha lasciati nel momento in cui si apprestava a ritirare l’ambita bandierina blu – a una giovane vita spezzata, quella di Jessica, e a un Arcivescovo che a Foggia è stato per molto tempo e da tutti è stato amato, Giuseppe Casale.

Al tempo triste, i tempi tristi. Sarà che ci dobbiamo abituare a queste precipitazioni abbondanti, ma viene da riflettere sulle stagioni incostanti come sui nostri stati d’animo. Tristi tropici è il titolo di un’opera dell’antropologo francese Claude Lévi-Strauss. Vi si legge, tra l’altro, come quel luogo che tutti consideriamo l’eden assoluto, il tropico, dove tutto profuma di abbondanza e di turgore, di luce e di bellezza – l’isola felice – abbia il suo controcanto triste per vari motivi. Come accade a noi, tristi, spesso, per la caparbia ostinazione di volere dentro e fuori di noi un’estate eterna – da eterni bambini che dal fascino del caldo sono avvolti – piuttosto che cedere, almeno qualche volta, a quella tristezza di cui parla Lévi-Strauss.

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