Pronto soccorso di Brindisi Una suora denuncia  «Noi, trattate come animali»

di VALERIA CORDELLA ARCANGELI 

«Gente in barella ammucchiata in diverse sale con attese estenuanti. Niente lenzuola. Qualcuno più fortunato aveva il cuscino, altri stavano con la testa appesa, ognuno cercava di coprirsi con il cappotto o i giacconi. Accadeva il 24 febbraio, un mese fa. Quel giorno ho trascorso un’intera giornata all’ospedale Perrino e sono stata spettatrice e vittima anch’io di un modo di gestire la sanità del Sud da terzo mondo». La lettera-denuncia che suor Maria Rosaria Amato di Francavilla Fontana ha scritto al direttore generale, Rodolfo Rollo è rimasta senza risposta. Sebbene evidenziasse «sconvenienti disagi provocati da un sistema sanitario di per sé molto malato e che forse proprio per questo non può presumere di guarire o alleviare i problemi di quelli che giustamente sono stati chiamati da sempre “pazienti”, che già nella etimologia e derivazione latina dice tutto!».

«Accompagnavo una suora di 79 anni che sta molto male e necessitava di ricovero - racconta suor Maria Rosaria -. Ci siamo presentate in Pronto soccorso con la richiesta del medico curante per il ricovero. Della via crucis ospedaliera la suora ha voluto descrivere con puntualità le «stazioni»: la lunga attesa prima della visita preliminare, la «peregrinatio» da un reparto all’altro per le varie consulenze: prima in urologia con ritorno in Pronto soccorso per la lettura del referto, poi in radiologia per l’ecog rafia, altra lettura del referto e la ripartenza per un altro accertamento: questa volta è una diretta addome e rx alla colonna vertebrale. Ritorno in pronto soccorso ed ancora lunga attesa per la lettura del referto. Visita chirurgica, lunghissima attesa prima della visita e dopo, fino a che un ausiliario non riprenderà la paziente per riportarla al Pronto soccorso. Ancora una consulenza: questa volta ortopedica. Attesa come da copione. 

«Siamo arrivate in ospedale alle 8 e 30, sono le 18 e 30 - scrive -. Siamo digiune (andando al bar si rischia di perdere il turno) e stremate. La suora che accompagno soffre. I dolori sono aumentati. Chiediamo un cuscino, ci danno delle traverse piegate per tenere il capo sollevato. Una dottoressa si muove a compassione e sollecita il Pronto soccorso. Lo chiamano “pronto”, provo ad immaginare se non ci fosse il “pronto”...». 

«Il più bello viene quando un’altra dottoressa dice che se decidiamo per il ricovero ci portano a Francavilla Fontana. Veniamo da Francavilla per sentirci dire, dopo una giornata da cani - prosegue suor Maria Rosaria -, che potevano riportarci da dove veniamo. Una maratona terribile finita con una diagnosi che resta incompleta. E si, come compito a casa ci dicono di fare i marcatori tumorali e la colonscopia, ed hanno il coraggio di chiederci la firma per farci uscire. È chiaro che non potevo restare in silenzio: per coscienza e per difendere i diritti dei deboli, quella folla ammassata come nei lazzaretti. La malasanità c’è ovunque ma qui è routine. La nostra è un’altra Italia. Perchè siamo gente del Sud che insieme alla salute perde anche i suoi diritti. Non sei più nemmeno una persona. Qui manca... la mente, l’organizzazione...manca la sanità». 

La suora sostiene che «nell’era dell’infor matica ancora non si riesce a capire come far girare le informazioni, i referti, senza portare in giro il paziente per l’intera giornata, su una barella non buona, da un reparto all’altro» . «Neppure gli animali si trattano così - conclude nella sua lettera -. Noi, che facciamo parte del genere umano, non siamo una specie protetta». 

«Dopo aver ricevuto una dettagliata relazione da suor Maria Rosaria - scrive Ferruccio D’Amore del Centro tutela per i diritti del cittadino di Lecce - in cui si denuncia una giornata di ordinaria follia nel Pronto soccorso dell’ospedale Perrino per correttezza abbiamo inviato il tutto direttamente e solo al direttore generale dell’Asl Rodolfo Rollo, con preghiera di far controllare l’accaduto e di informarci. Ma dopo un mese nessuna risposta e neanche un segno di ricevuto. Evidentemente il direttore deve aver dimenticato il “rispetto verso il cittadino malato”».
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