L'intervista
Potenza, gli infermieri denunciano: «Eroi in corsia ma bistrattati dal sistema sanitario»
La presidente dell'Opi Robertucci: «Super-turni di lavoro per la carenza in organico e nessuna possibilità di carriera»
POTENZA - Il loro lavoro è stato messo in luce durante l’emergenza sanitaria. Istituzioni, politica e cittadini erano tutti concordi nel definirli eroi. Loro, mentre si cantava ai balconi o si impastava l’ennesima pizza in casa, mentre il mondo aveva paura del virus, erano sul campo a combattere per strappare al Covid quante più vite umane possibili. Ora, però, chiedono la stessa attenzione riservatagli durante i giorni più bui della pandemia. Sono gli infermieri che continuano a restare al loro posto ma vorrebbero essere ascoltati di più. A riguardo abbiamo intervistato la Presidente dell’Opi Potenza Serafina Robertucci.
Presidente Robertucci, sappiamo il grande contributo che quotidianamente date per assicurare il diritto alla cura dei cittadini e che, durante l’emergenza, avete affrontato enormi sacrifici. Come darvi il giusto riconoscimento?
«Il contributo che diamo quotidianamente va oltre le nostre forze e, in alcuni casi, oltre il normale orario di lavoro perché la nostra professione comporta un’umanità ed un’empatia con i pazienti che non conosce limiti. Durante l’emergenza abbiamo fatto quello che facciamo ogni giorno. La pandemia ha messo “solo” in evidenza il nostro ruolo e spirito di sacrificio. Potremmo, però, lavorare meglio. Abbiamo chiesto di rendere più appetibile la carriera infermieristica perché ci sono poche iscrizioni ai percorsi universitari, molti abbandonano la professione o si trasferiscono all’estero.
Serve, tra l’altro, un aumento degli stipendi, il riconoscimento delle specializzazioni e possibilità di carriera. Il Consiglio dei Ministri ha approvato l’ipotesi di rinnovo contratto del Comparto Sanità. È un segnale importante non solo per l’aumento dei salari».
Le maggiori problematiche per chi intraprende la carriera infermieristica in Basilicata?
«Ve ne sono diverse a partire dalla necessità di istituire un percorso di laurea completo in Basilicata. Attualmente chi vuole diventare infermiere può iscriversi a due atenei che hanno attivato corsi sul territorio lucano ma solo per la triennale. Noi chiediamo sia l’ateneo lucano ad avviare un corso di laurea triennale, di laurea magistrale e la scuola di dottorato di ricerca in infermieristica aumentando così il numero di professori MED/45 (Scienze infermieristiche generali, cliniche e pediatriche). Serve, poi, il riconoscimento delle competenze specialistiche già esercitate dagli infermieri in ambiti specifici, per lo sviluppo di carriera e attraverso la codifica delle prestazioni assistenziali nel nomenclatore tariffario regionale. Sul fronte dei concorsi qualcosa si sta muovendo ma restano altre questioni da affrontare».
Quali?
«In Basilicata, in particolare, l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle malattie croniche e della non autosufficienza richiedono un’assistenza di prossimità ed una rete integrata clinico-assistenziale di cui è protagonista l’Infermiere di Famiglia/Comunità. L’IfeC è il candidato naturale ad essere il care manager, colui che identifica e raccoglie il bisogno, lo decodifica e lo inserisce nei percorsi, mettendo in rete le risorse che meglio rispondono a questo bisogno. È necessario, inoltre, definire nelle strutture ospedaliere e territoriali lucane gli standard di personale basati sulla graduazione per intensità di cura e complessità assistenziale delle persone assistite».
Negli ultimi mesi avete avviato un tavolo di confronto con la Regione Basilicata. Ci sono stati riscontri tangibili?
«Siamo stati ricevuti dall’assessore regionale alla Salute e Politiche della Persona Francesco Fanelli due volte. Gli abbiamo illustrato le nostre proposte ed evidenziato le criticità da superare anche per garantire a pieno il diritto alla cura dei cittadini. Ora attendiamo risposte nella speranza che arrivino presto. La nostra categoria merita un maggiore protagonismo ed ha voglia di dare un contributo per risollevare la sanità lucana che sta vivendo, senza dubbio, un periodo non facile sotto diversi punti di vista. I contenitori sono stati definiti, gli strumenti ci sono e con il Pnrr anche le risorse, serve una programmazione seria sugli obiettivi e sui contenuti».
A livello nazionale, con la Fnopi, chiedete un ruolo di maggiore peso all’interno del servizio sanitario nazionale. Quali le vostre richieste?
«Prima del voto abbiamo rivolto un appello ai candidati in Basilicata al Parlamento. Solo alcuni ci hanno ascoltato. Ora speriamo di dialogare con gli eletti. La Fnopi, la Federazione che riunisce gli Opi sul territorio nazionale, è da tempo impegnata a dare voce agli iscritti. In Italia il fabbisogno di infermieri non è coperto. Secondo dati Istat il nostro Paese è agli ultimi posti in Europa per dotazione di infermieri. In Basilicata la dotazione è tra le più basse. Per avere più personale la professione, come già detto, deve essere più attrattiva con l’incremento della base contrattuale, il riconoscimento economico dell’esclusività della professione, delle competenze specialistiche e l’evoluzione del percorso universitario. È necessario delineare un sentiero coerente di ruoli da ricoprire prevedendo anche un sistema premiante, in linea con gli altri paesi europei. Non si possono più sprecare competenze per l’immobilismo e le resistenze al cambiamento».
In Basilicata gli infermieri iscritti all’Ordine bastano a coprire il fabbisogno?
«Non tutti gli iscritti in Basilicata lavorano sul territorio lucano. C’è una percentuale di colleghi che esercita come libero professionista o che presta servizio in regioni diverse dalla nostra. La carenza di infermieri in Basilicata è stata evidenziata dall’ultimo rapporto Agenas. Abbiamo 6 infermieri ogni 1.000 abitanti rispetto, per esempio, a 11 della Francia, 13 della Germania, 18 della Svizzera. Carenze colmate da turni di lavoro straordinario, ferie e riposi non goduti, pur di assicurare assistenza ai cittadini. Queste difficili condizioni di lavoro rischiano di minare la qualità dei servizi offerti e il clima organizzativo interno, legato anche al fenomeno del demansionamento. Sanità pubblica, dunque, con una forte carenza di professionisti, sanità privata che rischia di essere sguarnita e sanità di prossimità che, senza infermieri di famiglia e comunità, rischia di non decollare».
Come sta lavorando l’Opi Potenza?
«Innanzitutto stiamo puntando a coinvolgere i nostri circa 3.500 iscritti nella provincia di Potenza sui temi che riguardano la professione. Vogliamo stimolare l’interesse alla partecipazione alle attività formative per approfondire e supportare sugli aspetti delle responsabilità medico/legali nell’esercizio della professione, stimolare la condivisione di idee. Il passaggio da Collegio a Ordine ha comportato trasformazioni legate alla riorganizzazione del lavoro e maggiori costi per le attività che un Ente sussidiario dello Stato deve garantire, ma quello che conta ora è guardare avanti con fiducia e, senza indugi, ritagliarci spazi di confronto con le istituzioni perché abbiamo tanto da dire e soprattutto da proporre».
Cosa direbbe ad un giovane studente interessato a diventare infermiere?
«Essere infermiere significa amare questo lavoro, comprendere il privilegio della relazione di cura che ci lega al cittadino ed alla collettività. È necessario investire sempre sulla formazione continua e sulla competenza».