glie effetti del covid

Basilicata, in campo la Chiesa: «Fermiamo la fuga dei cervelli»

Antonella Inciso

Monsignor Salvatore Ligorio spinge alla speranza ed all’impegno condiviso per il futuro dei giovani

I timori per chi ha perso il lavoro, le preoccupazioni per chi rischia di chiudere l’attività commerciale, i riflessi della precarietà ed il grido d’allarme per i tanti giovani che lasciano la Basilicata. Nel tempo della «prova e della sofferenza non della punizione e della disperazione» come questi giorni sono definiti dai vescovi nel messaggio di Natale ai lucani, monsignor Salvatore Ligorio, Arcivescovo della Diocesi di Potenza - Muro Lucano e Marsiconuovo,e presidente della Conferenza episcopale di Basilicata spinge alla speranza ed all’impegno condiviso il futuro.

Eminenza quello che ci apprestiamo a festeggiare sarà un Natale diverso: Lei celebrerà con presenze contingentate nella Cattedrale di Potenza e lo stesso faranno i suoi parroci. Non sarà facile per i credenti lucani ma come ha detto Papa Francesco ai cattolici «invece di lamentarsi» bisogna «pensare a fare qualcosa per gli altri».
«Partiamo dalla celebrazione che viene vissuta: non siamo tanto noi a celebrare il Natale ma è il Signore che viene a celebrare il Natale con noi. Perché è lui che viene a nascere e si fa uomo nelle fragilità umana, in tutto eccetto il peccato ci ricorda San Paolo, proprio per condividere tutto con l’uomo. È una apertura, dunque, di speranza, al di là degli orari e delle strutture esterne. Quelli sono segni umani che possono facilitare, più o meno la presenza umana, ma quando emerge una profondità di fede e si vuol vivere l’accoglienza del Signore che viene, penso che ogni orario, ogni struttura assume un significato secondario perché quello fondamentale è questo incontro di Dio con l’uomo»


Anche in queste condizioni, dunque, la liturgia va intesa come una risorsa?
«A maggior ragione in questa situazione di sofferenza dobbiamo ritrovare la speranza, che viene a determinare ed a dare senso a ciò che ci può sfuggire: il nostro limite. Forse, ci sta misurando anche questo tempo. L’uomo può andare sulla Luna, su Marte, potrà girare nell’Universo, ma lui è una parte dell’Universo. Una parte dell’Universo che, però, è tanto amata dal Signore dove per l’uomo, il Figlio di Dio si fa uomo, per riscattare dal peccato e rigenerare l’uomo ad una vita nuova».

Recentemente il cardinale Raniero Cantalamessa ha detto che il «Natale è la festa dell’umiltà di Dio». Per celebrarla «in spirito e verità dobbiamo farci piccoli, come ci si deve abbassare per entrare per la porta angusta che immette nella Basilica della Natività a Betlemme». Ritiene che le condizioni imposte dalla pandemia possano aiutare a riscoprire il vero senso del Natale ?
«L’ho vissuto come esperienza nel momento in cui ho fatto il pellegrinaggio in Terra Santa: il segno di entrare lì, nella Chiesa della Natività, piegandoti, chinandoti. Farsi piccolo perché già lui, il Figlio di Dio, si è fatto piccolo per venire incontro a noi. Il Fanciullo è colui che è indifeso. Il Bambino è colui che fa piegare anche l’adulto, il forte, perché la sua fragilità crea tenerezza e la tenerezza comporta, soprattutto, un atteggiamento di umiltà che arriva ad un servizio di abbandono e di offerta nei confronti degli altri»


La Basilicata ancor prima di questa pandemia viveva una condizione difficile, di stallo, tra mancanza di lavoro, emigrazione giovanile, povertà. Lei più volte si è rivolto ai governanti lucani per spronarli, e tutti i vescovi lucani lo hanno fatto anche nell’ultima lettera al popolo lucano per il Natale.
«Continuo ancora, tanto che domani (oggi per chi legge ndr) uscirà la lettera che noi vescovi della Basilicata abbiamo voluto indirizzare. Non è un puntare un dito. Vogliamo insieme fare una verifica che sensibilizzi, responsabilizzi. È impensabile che tremila giovani in un anno lascino la nostra Basilicata, 1200 nascite in meno. Quando manca l’anello portante della presenza giovanile, con la ricaduta di non formare famiglie e di non generare anche un progresso economico - sociale, c’è una povertà di fondo. E che dire, poi, di queste aree interne che sono una ricchezza. Sono stato vescovo a Tricarico, avevo 19 paesi, piccoli paesi, ma avevano una ricchezza di cultura, di espressione di fede, di convivialità umana. Non possiamo perdere questi valori. Allora, essere profetici in un dialogo costruttivo con tutte le Istituzioni, per guardare a questa bella Basilicata che - mi permetto di dire - per il potenziale che ha potrebbe essere una piccola Svizzera. E qui voglio suscitare speranza : ha un potenziale per il quale - sapendo innescare una motivazione, suscitando in loro un interesse - certamente anche i giovani sono in grado di fare un sogno per il futuro, se noi adulti sappiamo innescare la miccia di una strada da percorrere».

L’aumento della povertà è uno dei riflessi diretti di questa pandemia. La Diocesi di Potenza, da aprile ad oggi, ha erogato 300mila euro per aiutare i poveri e con il progetto «Il Cantiere di Fraternità» anche i commercianti in difficoltà. Serve fare di più?
«”La Chiesa deve essere un ospedale da campo” dice Papa Francesco cioè intervenire in modo immediato sulla necessità ed il bisogno che c’è. Non può progettare, strutturalmente, un programma di un diritto che è quello di ogni persona di avere un lavoro, perché realizzi se stessa e programmi, soprattutto i giovani, di formarsi una famiglia per restare in Basilicata. Pertanto, ritorno su un punto essenziale: ognuno nel suo compito deve essere profetico, deve guardare oltre. Non mi preoccupo dell’oggi ma del dopo. È allora che emergeranno quelle cose che sono ancora sommerse, anche se si evidenzia che non sono più i soliti poveri che vengono a chiedere, ma anche persone impensabili e tra qualche mese tutto ciò può essere ancora più esplosivo se non ci prepariamo a come venire incontro a questa forte esigenza di diritto e di giustizia».

In questi mesi la Chiesa è stata in prima linea anche nell’ascolto di persone sole, di tanti anziani. Questa pandemia ha portato anche un bisogno di spiritualità maggiore?
«Sono fortemente convinto che l’uomo si sentirà rigenerato. Lo dico anche ai parroci e loro stessi constatano: non troveremo più la persona, l’uomo, così come lo abbiamo lasciato al momento in cui è cominciata questa pandemia. È un segno che passa e spinge a ritrovare una maggiore consapevolezza di significato da dare alla propria vita. È un modo particolare di riaccendere la speranza, con l’uomo che diventa più consapevole nella fede che è amato da Dio. Dio ama l’uomo fino al punto di donare se stesso. Ecco il Natale: Dio si fa piccolo per accogliere le fragilità dell’uomo, per riscattarlo dal suo peccato, dalla croce, per rigenerarlo e farlo guardare con una luce nuova, una speranza nuova, una gioia nuova. Una capacità vera che l’uomo deve recuperare per essere uomo amato dal Signore»

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