Parole, parole, parole

Tu, lei, voi, lorsignori... c’è Storia nei pronomi

Rosario Coluccia

Oggi, nella pratica, la scelta più frequente è limitata al «tu» e al «lei», mentre il «voi», riferito a un singolo individuo, si usa solo in condizioni particolari (vedremo quali)

Cresce l’uso del «tu» anche tra persone che non si conoscono. Ecco un dialogo reale, a cui mi è capitato di assistere. In un negozio di abbigliamento, parlano una cliente e una commessa, entrambe giovani. Con familiarità discutono di taglia, colore e modello di una giacca, si danno reciprocamente del «tu». Come se fossero amiche. Poi entra una signora sui cinquant’anni, fa una richiesta del tipo «Mi può dire dove sono gli abiti…», la commessa risponde con un sorriso, si rivolge alla cliente sconosciuta con il «tu». Una certa perplessità affiora sul volto della signora (che evidentemente non conosce la commessa) ma prontamente si adegua: passa anche lei al «tu», la conversazione tra le due prosegue in tranquillità. Non si conoscevano prima, si danno del tu, per loro è normale.

Non è così per tutti e per ogni situazione, la sensibilità personale varia notevolmente. Oggi nella nostra lingua esistono tre forme principali di pronomi allocutivi, usati per rivolgersi a qualcuno e per richiamarne l’attenzione: «tu», «voi», «lei» regolano i rapporti interpersonali. In passato era diverso. Nel Medioevo l’italiano (come la lirica provenzale e il romanzo antico francese), disponeva di un sistema bipartito, imperniato sull’asse «tu»~«voi». L’alternanza del pronome allocutivo ricorre ad esempio in «Meravigliosamente / un amor mi distringe», canzone di Giacomo da Lentini, caposcuola dei Poeti siciliani, all’inizio della nostra poesia: vv. 8-10 «’nfra lo core meo / porto la tua figura. / In cor par ch’eo vi porti»; e, con sequenza invertita, vv. 45-46: «tanto bella mi pare (‘appari’). / Assai v’aggio laudato». Nel primo caso prima tu e poi voi, nel secondo caso la successione si inverte. Nella Divina Commedia Dante si rivolge di norma col «tu» ai personaggi che incontra, riservando il «voi» a interlocutori particolarmente autorevoli. Al suo maestro Brunetto Latini chiede con rispetto: «Siete voi qui, ser Brunetto?». Petrarca nel suo Canzoniere distingue in modo pertinente la funzione del «tu» e del «voi», ci avviamo verso la modernità.

Poco alla volta, al «tu» e al «voi» si aggiunge il «lei». Tra Cinquecento e Seicento questo nuovo pronome si diffonde nelle cancellerie e nelle corti, segna i rapporti formali. Un sistema tripartito funziona nei Promessi Sposi di Manzoni. Si danno del «voi», alla pari, Agnese e Perpetua, Renzo e Lucia, il Cardinale e l’Innominato. Ancora alla pari, il «tu» viene usato tra Renzo e Bortolo o Tonio, vecchi amici. Agnese dà del «tu» a Lucia che risponde alla mamma con il «voi». Don Abbondio dà del «voi» ad Agnese che risponde per rispetto con il «lei».

Ci insegna moltissimo sulle implicazioni legate all’uso dei pronomi il dialogo tra Fra Cristoforo e don Rodrigo. Inizia con il «lei», i due sono cauti, stanno per toccare un argomento delicatissimo, le mire che il signorotto ha su Lucia, al punto da impedirne il matrimonio con Renzo. Rapidamente il colloquio precipita, si frantumano le cautele formali, il frate indignandosi passa al «voi» («la vostra protezione…») e per contraccolpo don Rodrigo passa al «tu», sibilando con disprezzo («come parli, frate?»). In mille altre occasioni «tu» non indica disprezzo, esprime vicinanza, può essere usato con devozione per rivolgersi a un Ente superiore. «Tu dalle stanche ceneri / sperdi ogni ria parola» scrive ancora Manzoni, rivolgendosi alla Fede nel Cinque maggio. «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» invoca Cristo sulla Croce.

Oggi, nella pratica, la scelta più frequente è limitata al «tu» e al «lei», mentre il «voi», riferito a un singolo individuo, si usa solo in condizioni particolari (vedremo quali).

L’uso dei pronomi allocutivi non oscilla a caso, è soggetto a regole precise, dipende dal contesto in cui la comunicazione avviene ed è vincolato dalle norme sociali vigenti in un determinato momento storico. La scelta del pronome è determinata dal contesto (formale o informale) in cui si realizza il dialogo e dal tipo di relazione esistente tra i parlanti. La scelta deve essere coerente con i saluti, i titoli, il tono della voce e con i comportamenti non-verbali.

Il «voi» riferito a un singolo è oggi in regresso. Il regime fascista giudicava il «lei» capitalista e plutocratico e imponeva il «voi», sembrava più virile e bellicoso. I risultati furono buffi. Si arrivò a sostituire il titolo della rivista femminile Lei con un nuovo nome, Annabella. Ma Lei di quel titolo non era pronome personale di cortesia, indicava che la rivista era dedicata alle donne e non agli uomini, a Lei e non a Lui. Con la caduta del fascismo, l’uso del «voi» decade ma non scompare del tutto. Il «voi» resiste in molti dialetti dell’Italia del Sud, sentito come una forma di rispetto.

Altre forme sono in totale disuso, quasi nessuno le usa più. Una volta, per rispetto, in un’aula universitaria o in una conferenza, si usava il plurale «loro» («come loro sanno…»). Usato ormai in senso ironico è l’arcaico «lorsignori»; dire «come lorsignori m’insegnano…» equivale a una presa in giro degli ascoltatori. I dialetti conservano più tenacemente forme arcaiche. Nel siciliano è ancora attestato (in calo tra i giovani), l’uso del «vossìa», contrazione di Vossignoria che vuol dire Vostra Signoria. In Salento, nel contado e nei ceti popolari, verso estranei e persone giudicate di livello superiore, si usa come appellativo «Signuria», con il verbo alla seconda persona singolare (per es. «Signuria, comu stai?»).

Tutto un mondo in quelle parolette, nei pronomi.

Privacy Policy Cookie Policy