Letture

Vittorino Curci, la poesia è un viaggio all'indietro

Enrica Simonetti

Il sassofonista dei versi e la nuova raccolta: l'infanzia è eterna

Si è tanto parlato – troppo – in questo periodo, del tempo sospeso, della pandemia come cambio di passo mentale e interiore. I poeti no, non sono soggetti ai virus, perché il loro è sempre un tempo sospeso magnificamente tra presente e passato, tra sogno e realtà. Basta aprire l'ultima antologia di Vittorino Curci Poesie (2020-1997) edita da La Vita felice (pagg. 166, euro 16,00) per leggere che «il poeta cerca il suo tempo e si trova a camminare nei millenni». Così scrive lo stesso autore in esordio, invitandoci a compiere con lui un viaggio senza tempo, appunto, senza luogo, come lo è il verso poetico quando sgorga sincero e riflette lo specchio intimo di un mondo a parte.
In questo itinerario atemporale il poeta sassofonista ci guida abilmente pensando un percorso a ritroso, quasi volutamente disordinato. Un percorso che ci colpisce perché il crescendo dei versi parte dagli ultimi, appena «prodotti» nel 2020 e sale verso il lontano 1997, con un grido esausto ma anche costruttivo, come se ogni riga fosse un mattone capace di avvicinare il verso ad una sua ipotetica dimora.


E qual è la dimora del poeta? Tutte e nessuna. Lo si pensa leggendo queste pagine di versi compositi, asciutti e profondi al tempo stesso, il cui fil rouge – come nota Milo De Angelis nella sua prefazione – è quello dell'infanzia, del ricordo. Ma attenzione, non un crepuscolo colmo di rimpianti, ma quella naïveté che è la grandezza dell'uomo saggio, il suo vento sulle ceneri della Storia. Quasi come in una canzone di Jim Morrison, ti trovi a leggere questi versi e ricordarti quel ritmo indelebile «Bimbo mi chiedi cos'è l'amore? Cresci e lo saprai.  Bimbo mi chiedi cos'è la  felicità? Rimani  bimbo  e lo vedrai...» .
Il poeta e musicista nato a Noci, «faro» della musica improvvisata, autore di tante sillogi, tra le quali Il pane degli addii (La Vita felice) e La stanchezza della specie (Lieto Colle), dà musica ai versi. Nel ’99 ha vinto il Premio Montale per la sezione «Inediti» e non ci si meraviglia del fatto che i suoi suoi testi «universali» siano stati tradotti in inglese, francese, tedesco, spagnolo, greco, rumeno e arabo. Perché senza tempo e senza luogo è la sua poesia dell’anima.
Il fanciullo-poeta-sassofonista non cerca la felicità assoluta, ma la realtà, il passaggio ancestrale dall'infanzia all'eterna infanzia. Può parlare di De Gasperi a Matera (e lo fa nella bellissima poesia Viaggio nel Mezzogiorno) e raccontare un se stesso bambino, o forse un bambino universale, «tra i reperti del futuro». Personaggi, ricordi, eventi: c'è Salvatore Sciarrino e ci sono le Terre abbandonate; c'è Giuseppe Di Vittorio e l'ombra di una lettera; c'è l'ora di chiusura, quasi una «tela grezza /dei pensieri/ che vanno e vengono/ sotto la pioggia/ ma alla fine sono stato io/ a cercarti, vita che dà la vita». E ancora: i mercanti e i cammelli di un'era colma di «errori capitali», le mappe celesti, un cielo che alla fine sormonta tutta questa realtà ed è bellissimo, nitido e senza tempo come lo è la poesia.

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