L'intervista
Maccio Capatonda, «Dal dado al Libro»: «Attenti, sono pronto a scrivere ancora»
Marcello Macchia, in arte Maccio Capatonda, rivela tutta la sua essenza e poliedricità artistica
Gentile Maccio Capatonda, naturalmente non ho letto il tuo libro «Libro». Altrimenti non sarei un giornalista. Prima di pontificare, noi al massimo meniamo l’occhio alla prefazione e alla seconda di copertina. Di che parla ‘sto «Libro»?
«Beh, si chiama effettivamente Libro. Questo è il titolo. Lo ha pubblicato Mondadori e parla della storia della mia vita incominciando dal periodo in cui ero ancora nella pancia di mia madre e arrivando fino a oggi che sto facendo questa intervista. Racconto alla mia maniera ma intessendo la narrazione di sincerità spiazzanti e inattese, di momenti di irrealtà che poi risolvono in episodi realissimi».
Appunto mi chiedevo: come si fa a distinguere fra ciò che è accaduto realmente e quanto crepita nella tua fantasia?
«Per me non è importante distinguere il vero dall’invenzione. Anzi è bene che i due aspetti procedano specularmente: descrivo molti accadimenti che sembrano falsi e sono veri e altrettanti che paiono reali quando si sono verificati soltanto nella mia mente».
Esempio: l’assurda mania di succhiare il dado di Brodo Star.
«È vera, non è una trovata romanzesca, bensì conseguenza della mia ingordigia per i sapori intensi. Lappare gli angolini di quei cubetti mi dava una botta, era una valvola di salvezza del gusto. Inoltre il dado era pratico da portare in giro».
Le citazioni dei primi film visti, la noia che ti piegava nel sonno deformandoti il volto in forma di bracciolo nel comparire della parola FINE?
«Anche quello risponde a verità. Così parlò Bellavista, C’era una volta in America. Se è per questo lo stesso Ricomincio da tre di Massimo Troisi non mi fece ridere, in tutti i film comici ridevo a comando, da solo, senza moto istintivo, quando vedevo gli altri ridere. È un particolare che mi ha ricordato mia madre soltanto recentemente, altrimenti lo avrei sicuramente inserito in Libro. I primi titoli che davvero mi colpirono furono invece Excalibur, La storia infinita e Ritorno al futuro che dall’85 mi trasferì per sempre nell’immaginario del cinema».
Ho apprezzato che tu abbia evidenziato nel capitoletto d’esordio «Scoraggiamento all’acquisto» quanto i refusi abbondino oggi nella decadente editoria. Problema che sui giornalli grazie a Dio nonesiste in quanto abiammo i coretori di boze morti.
«Non sono addentro come te nell’editoria ma posso assicurarti, dato che non l’hai letto, che nel mio Libro, a parte quell’incipit scherzoso e voluto, non c’è manco un errore fino alla fine».
Da decenni si promuovono campagne per incentivare la lettura senza cavare un geco dal muro. E sai perché? Perché leggere è faticoso e noioso. Si spacciano fetenzierie, i gialli al meglio. E oggi in più sovrabbondano mezzi di comunicazione che sedano e stimolano.
«Mah, io ho cercato di offrire un libro adatto al livello culturale contemporaneo, da Italiano medio. Ho destinato nella televendita di Libro la lettura del testo ai pochi temerari capaci di affrontare il cimento».
Spot fantastici, di puro genio nei quali illustri il vero utilizzo del libro: schiacciare insetti, rinfocolare il camino. Come sempre o quasi Marcello Macchia, visto che l’anagrafe ti chiama così, mi hai fatto morire.
«Eh, oggi poi non c’è più tempo per leggere. Il tempo consono è quello dei video brevi. Non so fino a che punto sia decaduta la letteratura, come mi dici, leggo soltanto i classici. I libri si portano a scuola, sono più formativi. Ma se vuoi apprendere qualcosa, visualizzi un tutorial su internet, rimedio digitale contro la pigrizia endemica».
Capatonda scrittore. Capatonda attore e regista.
«Può darsi ch’io renda meglio attraverso le immagini. Ma scrivere è stata un’esperienza bellissima. Sono entrato in una dimensione nuova, onnipotente, immediata nel divenire, libera. Ho esplorato giochi linguistici. Sono pronto a sedermi di nuovo a tavolino: sento di poter dare ancora».
Non hai un marchio stilistico caratterizzato, cioè identificabile di primo acchito.
«Può darsi, ma credo si definisca in alcuni racconti sintetici. Non sono incline alla narrazione: invento».
Comunque nel caso tuo è relativo: «Libro» trasuda effetti comici irresistibili paragonabili a quelli dei tuoi filmati fulminei. Quali i fogli bianchi di «Pagina vuota» e «Pagina di una pochezza estrema».
«Avevo sforato sul testo, la suddivisione delle pagine per multipli mi ha lasciato fogli bianchi che ho empito così. Attaccavo a scrivere appena sveglio, un’ora e mezzo al giorno, ancora prima di fare colazione».
E sei un genio anche in questo: i neuroscienziati classificano tale fase come la più ricca di trasognata effervescenza creativa.
«Non ho usato un canovaccio, anche perché i capitoli dell’autobiografia li ha cadenzati la vita».
E perché anche tanti grandi romanzi si sono sviluppati rapsodicamente senza schemini.
«Il lockdown mi ha fornito una spinta. Ho attaccato a fine marzo e a settembre ho finito, facendo altre cose, come la sceneggiatura del terzo film che continuerò a stendere appena termino la chiacchierata con te».