Il fenomeno
Prostituzione a Bari, una «normalità» tra i marciapiedi del San Nicola. La storia di Claudia: «In strada dopo il licenziamento»
L'analisi di don Angelo Cassano: «Una realtà su cui dobbiamo lavorare in termini educativi e culturali»
«Lo sfruttamento, la prostituzione, la tratta – spiega don Angelo Cassano – sono fenomeni sui quali è calato il silenzio e la normalizzazione, a parte quando ci sono episodi che poi emergono come lo sfruttamento dei minori. Però è anche vero che esiste un tipo di sfruttamento che riguarda i giovanissimi, gli adolescenti. Soprattutto in territori periferici della nostra città che restano spesso al buio. È una realtà su cui dobbiamo lavorare in termini educativi, in termini culturali, proteggendo le nostre ragazze e i nostri ragazzi che molte volte sono succubi di atteggiamenti violenti. Abbiamo quindi il dovere di riaccendere i riflettori su questi fenomeni per arginarli, combatterli. Partire dai più giovani è certamente un percorso necessario».
Fotogrammi di una quasi «normalità» che tale non è, dove il buio è interrotto dalle luci degli abbaglianti che ad intermittenza illuminano la strada. Scorrono tra i marciapiedi intorno allo Stadio San Nicola le storie di donne e uomini che vendono il proprio corpo per poco meno di cinquanta euro.
C’è Luca che ha vent’anni e che «è etero». Ha una fidanzata e studia, ma in tasca non ha un euro: «Questo mi permette di portare Silvia a mangiare una pizza». Mihai, anche lui ventenne, con il volto segnato da troppi sacrifici, che tenta di sfuggire a un destino già scritto in una famiglia devastata dalla povertà e dal disincanto di un futuro migliore lontano dal suo paese. Claudia, giovane ragazza transessuale, prova invece a costruirsi un progetto di vita cercando di farsi accettare da una società ancorata ai pregiudizi. Abeo che ha attraversato il Mediterraneo sognando il migliore dei mondi possibili, ma si ritrova invece a combattere contro l’ennesima forma di sfruttamento. E ci sono i bambini. Tanti.
Storie di miseria e di un fenomeno, quello della prostituzione, che non si placa. Alimentato anche da insospettabili che al calare del sole si spogliano dalle vesti di professionisti ed entrano in un mondo parallelo. Raffaele Diomede ha raccolto nel suo libro «Carne amara» tante storie accompagnato da giornalisti e da colleghi educatori, in un viaggio alla Stadio San Nicola dove si concentrano tanti volti della prostituzione e dello sfruttamento imposto. Come quello delle ragazze nigeriane che hanno lasciato il loro paese attratte da false promesse di lavoro o di una vita migliore in Italia o in altri paesi europei, ridotte poi in schiavitù.
«Le ho incrociate – racconta Diomede - e sono le uniche che non ho intervistato ma le ho osservate attentamente. Sostavano in una zona precisa, ovviamente accompagnate dai loro sfruttatori e lì è emerso un quadro che si collega oggi alla preoccupante crescita del fenomeno. I dati che ci fornisce il Dipartimento per la lotta al crimine delle Nazioni Unite ci parlano infatti di un aumento della tratta delle donne, soprattutto nigeriane, ma anche dell’est. Ed è presto spiegato: il flusso dei migranti sta crescendo perché ci troviamo in un momento storico di emergenze climatiche e numerosi focolai di guerra. Ma anche le grandi derive economiche e povertà dilaganti. Le donne nigeriane prima di partire per l’Europa, spesso stringono un “patto” con i “santoni” che prevede un prestito economico da parte delle organizzazioni criminali che finanziano il viaggio. Per ripagare questo debito sono quindi ridotte in schiavitù e sono costrette a prostituirsi».
LA STORIA DI CLAUDIA: COSTRETTA A PROSTITUIRSI DOPO ESSERE STATA LICENZIATA
Claudia ha quarantasei anni ed è laureata. Lavorava in una azienda che produce abiti da sposa. Era felice e soddisfatta sino a quando è stata licenziata perché i suoi datori di lavoro hanno scoperto che è transgender. Così ha deciso di prostituirsi. Prima nel nord Italia poi allo stadio San Nicola.
«Ci sono arrivata perché era l’unico modo per garantirmi la sopravvivenza. Ed è stato molto difficile riuscire a sottrarsi da quella situazione. Vivi un mondo che non c’è. Che non esiste. Una vita parallela che provoca dipendenza. Come se fosse una droga. Ho incontrato tanti clienti. Ti può arrivare chiunque: persone per bene, persone di bassa estrazione sociale, professionisti, donne e giovani».
Poi Claudia ha detto basta. Il dolore, la vergogna, hanno preso il sopravvento e ha deciso di voltare pagina, ma non è stato semplice: «Quando decidi di abbandonare quel tipo di vita, comunque hai bisogno di disintossicarti. Hai altre abitudini. Vivi di notte mentre il giorno non esiste. Non hai il senso dell’orario. Hai vissuto in un mondo ovattato e devi imparare a farne a meno».
Per Claudia ancora oggi, ci sono molte barriere sociali, discriminazioni e pregiudizi che rendono difficile vivere normalmente. Ma rispetto al passato ci sono più possibilità di costruirsi una vita: «Le associazioni hanno lavorato tanto in questo senso. Nel limbo purtroppo resta la mia generazione. Che non ha potuto lavorare e che ora è indietro. Sarebbero utili dei corsi di formazione che possano garantire, a chi come me è arrivata tardi nel mondo di lavoro, di poter trovare una strada. Di potersi realizzare e di allontanarsi dalla prostituzione che a volte per un transgender sembra essere l’unica via di uscita».
Una strada che Claudia vuole solo dimenticare: «È un periodo che ho cancellato. Lo stadio San Nicola non voglio vederlo più. Non ci passo neanche per caso. Lì, proprio in quel luogo, si è consumato il mio dramma. E ancora oggi fa tanto male».