Tour del gusto
Spaghetti all'assassina: sfida sulla ricetta. E la pasta diventa leggenda
Dibattito internazionale sui famosi spaghetti alla barese. Dopo l’esplosione sui social si ritiene che diventerà il più mangiato al mondo. Insindacabili gli ingredienti (spaghetti, passata di pomodoro, sale, olio, aglio e peperoncino). La diatriba è sulla tecnica di preparazione
31 Ottobre 2023

Che siano buoni da morire, lo sanno proprio tutti. Bruciacchiati, piccanti e croccanti al punto giusto, gli «spaghetti all’assassina» sono il simbolo della tavola barese, tanto da immaginarli a duello con le altrettante apprezzate «orecchiette alle cime di rapa», preparate dalle colorite pastaie di Bari vecchia.
Meno forte sul piano della riconoscibilità internazionale, l’assassina è certamente il piatto preferito dai palati della città metropolitana. «Se oggi facessimo un calcolo statistico nei ristoranti di Bari per contare quante orecchiette e quante assassine vengono ordinate, vincerebbe a mani basse l’assassina», ammette Michele Pacino, per tutti il «Baffettofood» che, forte degli oltre 135mila followers su Instagram, dispensa dritte su dove mangiare e dove leccarsi i baffi nel capoluogo pugliese. Con l’obiettivo di assaggiare tutte le assassine di Bari per decretare le migliori, il foodblogger ha coinvolto il popolo del web per stilare la rosa degli spaghetti killer più graditi. Risultato? Un fiume di commenti e suggerimenti sui luoghi imperdibili in città.
«Man mano che le assaggio, tiro fuori le migliori secondo il mio palato, e le catalogo. I commenti sono tanti perché quello dell’assassina è una questione molto sentita. Quando si tocca un piatto più o meno tradizionale, c’è sempre un amico ristoratore, un fratello o un cugino che lo prepara meglio degli altri. Ed è il caos di giudizi», spiega Baffetto.
In realtà, anche se l’argomento scotta, proprio sugli spaghetti assassini non esiste una verità assoluta. Insindacabili gli ingredienti - spaghetti, passata di pomodoro, sale, olio, aglio e peperoncino – è invece sulla tecnica di preparazione che si apre un mondo. «Ci sono diverse scuole di pensiero; c’è chi ritiene che la pasta debba essere lasciata asciugare sul fuoco per farla insecchire e chi, al contrario, preferisce conservarne la cremosità», spiega Pacino, che si dice «personalmente favorevole all’evoluzione della cucina e delle ricette». Un altro aspetto da non sottovalutare, poi, è la variabilità della ricetta: «Impossibile replicarla. Un’assassina eccezionale, non lo sarà il giorno successivo, anche se preparata nella stessa cucina e dalle stesse mani». Una formula che è complicato standardizzare, quando a fare la differenza può essere una manciata di secondi o il numero dei coperti al tavolo.
Eppure, la richiesta c’è ed è crescente: «Per fronteggiarla, alcuni cuochi hanno cominciato a pre-cuocere gli spaghetti, per bruciacchiarli soltanto nella fase finale prima del servizio». Anche sul fronte cottura, pensiero tradizionale e concept contemporaneo si alternano in un valzer di pareri altalenanti: «Al Sorso Preferito, dove la ricetta è stata inventata, lo spaghetto viene prima sbollentato e poi passato in padella. Gli chef moderni, invece, risottano la pasta direttamente in padella con la salsa di pomodoro», spiega il food creator. Venirne a capo è un’impresa ardua, quindi, non esistendo un vero e proprio disciplinare, «ed essendo, questa, una ricetta tecnicamente sbagliata e, a dirla tutta, anche nociva, e perciò rinnegata dai salutisti».
Resta di fatto che i fili di pasta croccante sono saporitissimi, piacioni, con quel sapore rustico conferitogli dalla caramelizzazione del pomodoro sul fuoco che, in fase di cottura, fa anche parecchio scena: «C’è stata una vera e propria esplosione mediatica sui social, tanto da ritenere che l’assassina diventerà il piatto più mangiato al mondo», sentenzia Baffetto.
Un business di respiro nazionale e internazionale, per l’appunto, secondo qualcuno a tratti «anche eccessivo, tanto da aver appiattito la proposta culinaria barese». È il caso del giornalista gastronomico di lungo corso Sandro Romano che, negli anni, di specialità pugliesi ne ha assaggiate parecchie. «Partiamo dal nome. Si pensa erroneamente che il termine “assassina” si riferisca al concetto di bruciacchiato e che quindi tutto ciò che viene bruciacchiato sia assassino. Niente di più sbagliato. Gli spaghetti sono assassini perché piccanti», spiega Romano, che confessa di essere il custode della vera ricetta barese secondo tradizione, perché consegnatagli direttamente dall’unico inventore del piatto, il padre dell’assassina, Enzo Francavilla. La storia del novantenne, originario di Foggia, fondatore della ricetta originale, era stata recuperata dallo studioso della città di Bari e demologo Felice Giovine, «una Bibbia in fatto di tradizioni popolari cittadine», e raccontata dall’amico cronista in un articolo risalente al 2020. «Quando ho scritto questo articolo, con il supporto di Felice in qualità di studioso e di testimone dei fatti riportati, è emersa la vera storia della ricetta», racconta il giornalista barese. Francavilla rilevò la trattoria «Al Sorso Preferito» di via Bozzi nel 1967. Ad appena due giorni dall’apertura, gli fecero visita due uomini napoletani che gli avanzarono una richiesta molto particolare: mangiare una pasta gustosa e sostanziosa. Il titolare, con pochi ingredienti a disposizione in cucina, dovette arrangiarsi ai fornelli, cuocendo in una padella di ferro già utilizzata un piatto di spaghetti al pomodoro che condì con una generosa dose di peperoncino. «Quando Francavilla chiese loro se il primo fosse piaciuto, i due, in riferimento alla piccantezza, gli dissero che era “un assassino”. Oggi circolano diverse ricette, tutte lontanissime dall’originale», sostiene Romano che, se da una parte deve tenere ancora per un po’ segreta la ricetta di Francavilla, dall’altra, ne anticipa un particolare: «Lo spaghetto va assolutamente sbollentato in acqua bollente e non certamente risottato, come invece l’Accademia e tanti altri ritengono».
All’Accademia dell’Assassina, nata diversi anni fa, però, il gastronomo della «vecchia scuola» riconosce il merito di aver riacceso i riflettori su un piatto «che per lungo tempo era stato dimenticato e che a Bari non faceva più nessuno. Da quel momento è stato un susseguirsi di pubblicazioni, da Gianrico Carofiglio a Gabriella Genisi con l’indagine del commissario Lolita Lobosco, fino all’articolo del giornalista americano Steven Raichlen per il New York Times. Una vera esplosione mediatica. Il problema è che la questione è oramai fuori controllo, soprattutto in fatto di varianti che nulla hanno a che vedere con l’assassina tradizionale. Alle rape, alla tartare di tonno o gamberi, alla cacio e pepe, addirittura ho sentito parlare di pizza all’assassina e di panzerotto all’assassina.
Ma stiamo scherzando?”, conclude Romano.
La curiosità
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L’algoritmo di Instagram e Facebook ha censurato in automatico la parola «assassina», ma purtroppo non c'è un sinonimo per indicare quella ricetta. È accaduto nel febbraio scorso quando due giovani pugliesi hanno lanciato sui social la pubblicità della loro «box all’assassina», che può essere spedita in tutto il mondo e che grazie a un prodotto semilavorato si cucina in appena sei minuti. Ma l’intelligenza artificiale interna alle piattaforme di Mark Zuckerberg decodifica «assassina» come qualcosa di pericoloso e ne blocca la sponsorizzazione.
Ma il fascino del piatto tipico di Bari è riuscito a travalicare anche lo scherzo dell’algoritmo, complice la sua intrinseca bontà e la fiction su Lolita Lobosco, tratta dai libri di Gabriella Genisi, che proprio nell’inverno scorso impazzava in tivvù.
«Eravamo cinque amici a cena, poi nacque l’Accademia»
«L’Accademia dell’Assassina è nata da un momento goliardico. Cinque amici che ordinano il piatto della baresità per eccellenza al ristorante e che si danno appuntamento di lì a quindici giorni per replicare la cena». È il settembre del 2013 quando Massimo Dell’Erba, attuale presidente dell’Accademia, all’indomani della cena fra uomini, apre un gruppo su Facebook dal nome «Accademia dell’Assassina».
«Invitai nel gruppo gli amici della serata e altre persone; in brevissimo tempo registrammo tantissime adesioni. Ci demmo delle regole: ogni due settimane dovevamo provare un ristorante diverso», ha raccontato Dell’Erba. Le donne, che non erano ammesse ai raduni, ma che erano attive all’interno del gruppo Facebook, un giorno passarono al contrattacco: «Fondarono la contro-Accademia dell’Assassina» per assaggiare varianti diverse dalle nostre e aprire il confronto di genere». La prima conclusione cui l’Accademia giunge è che nessuno è in grado di fare ogni volta l’assassina migliore, «perché le variabili sono troppe, a partire dal numero di persone per cui viene preparata o il tempo a disposizione», ha spiegato il presidente. Eppure, l’Accademia, la sua ricetta perfetta l’ha codificata, «che se viene eseguita nei minimi particolari, dà sempre un risultato positivo».
Lontana da quella di Enzo Francavilla – «che è buona, ma non incontra il gusto dell’Accademia» – l’assassina istituzionale oggi si trova sulla scena insieme ad una miriade di varianti e di contaminazioni. «La regola è far cuocere gli spaghetti a crudo nell’olio, procedura che per motivi di tempo non sempre è possibile seguire. Succede di frequente allora che gli chef pre-cuociano gli spaghetti, per ultimarli sul fuoco prima di essere serviti», ha spiegato l’accademico.
L’iniziativa degli associati, nata un po’ per gioco, ha assunto negli anni un carattere ben più importante, tanto da essere legittimata e accreditata sul tema a livello internazionale. «Sono stato intervistato da diversi giornali e canali esteri; noi siamo felici di questo sviluppo, ma si è perso il controllo di questo piatto tradizionale, che resta uno soltanto; poi, se lo si vuole fare alle rape, con la stracciatella, con le olive fritte e di mare - si badi bene – è possibile, a patto che si sia consapevoli che non è più l’assassina, ma un piatto preparato secondo la stessa procedura». Gli accademici - che di assassine riferiscono di averne mangiate «qualche migliaia» – hanno il polso della situazione: «Al di là delle volontà personali di taluni di volersi accreditare a “guru dell’assassina” o, di qualcun altro, di farne business (niente in contrario rispetto alla microeconomia che abbiamo generato), è necessario ricordare che noi abbiamo una storia e siamo orgogliosi di aver dato origine a un movimento intorno ad un piatto unico in Italia. Quello che però manca è un lavoro certosino sulla valorizzazione in generale della cucina della città di Bari». Secondo il presidente andrebbero recuperate le antiche ricette e ricostruite le radici della nostra tavola: «Sarebbe interessante, ad esempio, che Felice Giovine proponga per il “riso, patate e cozze” un lavoro simile a quello svolto per gli spaghetti bruciacchiati. Questo, perché non son convinto che la moda degli spaghetti all’assassina durerà a lungo ed è giusto concentrarsi su tutti gli elementi della nostra tavola», ha chiarito il presidente.
Intanto, le adesioni all’Accademia su Facebook continuano a crescere, così come aumentano gli spazi sui media italiani ed esteri. «Le nostre ricerche continuano, certo con un po’ più di difficoltà perché oggi a cena siamo una trentina e vi lascio immaginare la difficoltà di ordinare. L’assassina ingolfa la cucina e se non viene preparata con la dovuta attenzione non viene bene», ha spiegato il presidente Dell’Erba.
Le lodi del New York Times
Sul «New York Times» il piatto iconico della cucina barese è stato definito «killer pasta». La conquista degli Stati Uniti, che già era iniziata a firma di Stanley Tucci nel suo programma «Searching for Italy» sulla CNN, porta la firma del giornalista Steven Raichlen, anch’egli incuriosito dalla celebre assassina. Il reporter, arrivato a Bari un paio di settimane fa, ha recensito quelli di «Urban – L’Assassineria Urbana» nella versione con la stracciatella, sapientemente cucinati da Celso Laforgia nel suo ristorante di via Nicolai. Lodi e complimenti per gli spaghetti “scuri come l’ebano e scricchiolanti come grissini, che Laforgia brucia la pasta cruda nella padella”. E come nei migliori degli spot pubblicitari, il cronista chiosa nella sezione food del noto quotidiano statunitense: «Laforgia rompe ogni regola. Non mangiarla? È come andare a Roma e perdersi il Colosseo». Insomma, lo chef-patron - che nel pezzo viene specificato non essere l’inventore dell’assassina, ha conquistato i palati dei due newyorkesi anche grazie alle diverse varianti che ogni giorno propone alla sua clientela: versioni lontane dalla tradizione, come quella alla puttanesca, alla San Juannidde, alle rape 2.0, gambero e cacio e alla polpa di riccio. Innovazioni poco gradite dai conservatori, ma molto apprezzate dai curiosi e dai turisti. Sul sito internet del «New York Times» vengono anche raccontate le origini degli spaghetti all’assassina, così come il sogno coltivato dal giovane Celso Laforgia di aprire una seconda «Urban – L’Assasineria Urbana» a Milano e, magari, di portare il piatto anche nella Grande Mela.