Il caso

«Per solidarietà al mio compagno mi sposerò bendato, così sarò cieco anch'io», l'avventura della coppia leccese

Maddalena Mongiò

Fiori d’arancio il 23 giugno: «Ci uniremo civilmente e la nostra vita procederà con quell’auspicabile serenità che l’ha colorata per 17 anni di vita insieme»

«Per solidarietà al mio compagno, mi benderò e sarò ceco anch’io». Questo il proposito di Andrea Fiorucci, 40enne ricercatore di Pedagogia speciale a UniSalento, promesso sposo con Tony Donno 55enne impiegato della Regione Puglia e non vedente. L’appello a due voci rivolto al sindaco Carlo Salvemini, dalle colonne de “La Gazzetta del Mezzogiorno”, affinché non si consumi la mortificazione di Donno nel subire la presenza di un testimone che dia lettura dell’atto di matrimonio nel giorno della celebrazione del rito civile fissato per il prossimo 23 giugno, si è risolta in un nulla di fatto per effetto del parere del garante delle persone con disabilità che ha dato ragione piena alla scelta della funzionaria e del dirigente dello Stato civile del Comune di Lecce. Fiorucci, peraltro, auspica che nel giorno del matrimonio altri seguano il suo esempio decidendo di bendarsi.

I due promessi sposi puntualizzano: «Rimaniamo sconcertati e disorientati dalla risposta del Garante e dalla reazione dell’amministrazione. Il nostro era un appello al sindaco e al garante per trovare e comprendere delle possibili soluzioni. Ci aspettavamo di essere convocati e che la nostra storia potesse essere da sprono all’amministrazione per riflettere sui problemi dell’inaccessibilità dei contenuti e delle procedure pubbliche. Questa nostra amara faccenda avrebbe potuto smuovere l’amministrazione comunale per comprendere l’impatto che un “comune disabilitante” ha su un cittadino. Esistono Leggi sull’accessibilità molto chiare e, in più, non dimentichiamo la Legge del 2009, numero 18, con la quale viene ratifica la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Il piano strutturale e culturale dell’accessibilità è molto chiaro (VI principio), così come la stessa Convenzione offre un interessante focus sul concetto di “discriminazione fondata sulla disabilità” nella parte in cui chiarisce che si tratta di “qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo”. Poi continua, “essa include ogni forma di discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole”».

Secondo Fiorucci la loro storia potrebbe essere l’occasione «per mostrare buon senso, coraggio, empatia, volontà ad aprire un dibattito serio e critico sull’accessibilità, sulla restrizione della partecipazione sociale, sul concetto di autodeterminazione e autonomia della persona con disabilità. Invece, che attivare una levata di scudi verso due cittadini. Il garante della disabilità utilizza ancora una volta il burocratese per spostare la questione sull’interpretazione della norma, la risposta sconcerta, sembra una nota redatta da un ufficio legale invece che da una figura terza che dovrebbe tutelare le persone con disabilità e soprattutto alimentare un discorso profondo sulla loro inclusione».

Ma i fiori d’arancio il 23 giugno ci saranno comunque. «Ci uniremo civilmente premettono Andrea e Tony – e la nostra vita procederà con quell’auspicabile serenità che l’ha colorata per 17 anni di vita insieme. Saremo costretti ad avere un testimone/lettore, che si metterà accanto alla persona non vedente e leggerà l’atto, tra l’altro già verbalizzato a vantaggio di tutti. I veri ciechi, in questa storia, sono chi gli occhi ce li ha, ma non li vuole usare per guardare».

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