curiosità
Lecce, parla come mangi: viaggio tra i giovani e la loro nuova lingua
Ecco le espressioni salentine usate dalle nuove generazioni che hanno rivoluzionato l’universo culturale
LECCE - «Mi sono sloggato» non è un errore ortografico. È proprio così. È l’espressione che i ragazzi delle generazioni Z ed Alpha (i nati rispettivamente dal 1997 al 2012 e dopo il 2012) utilizzano per significare che sono usciti da un gioco o da una piattaforma on line, quali, per esempio, You Tube e Twich. Quest’ultima, rivolta agli appassionati di video giochi, ha registrato un grande successo fin dalla sua uscita, nel 2011, grazie ai suoi programmi interattivi. Twich che, oltre a giochi, offre varie trasmissioni e dirette dal vivo, i cui contenuti possono essere visti anche in differita, ha imposto una nuova cultura che si sta diffondendo - in tutto il mondo - presso milioni di giovani, che non guardano più (ormai in verità, da tempo) la vecchia TV generalista. Le nuove generazioni, infatti, seguono i programmi della TV on demand e sono attratte dai nuovi social, come Tik-tok, (Facebook ormai è solo per gli ultracinquantenni) e dalle moderne piattaforme che garantiscono connettività ed interattività, ad libitum.
Insieme ai gusti le nuove generazioni hanno rivoluzionato l’universo culturale, compreso il linguaggio che, inevitabilmente, risente delle influenze del web. Così, per esempio non è insolito sentire “la chat continua a buggarsi" ‘la chat si sta inceppando’, “sto switchando la pizza con l'hamburger”, ossia ‘sto cambiando l’ordinazione’. Ancora, “cringio quando vedo i tuoi post", nel senso che provo imbarazzo quando posti qualcosa. Un frasario che, tuttavia, a grande sorpresa, lascia uno spazio anche all’idioma locale. Durante le lezioni dedicate alle varietà giovanili, nel primo semestre di quest’anno accademico 2022/23, i miei studenti (che ringrazio per avermi resa partecipe dei loro usi linguistici tra pari) mi hanno fatto notare quanto il dialetto resista – a scopo ludico, espressivo - ancora tra le nuove generazioni e come ben si integri con un linguaggio composito e di stampo digitale. L’uso del dialetto, nel Salento, differenzia gruppi di giovani non soltanto per interessi, frequentazioni, ma anche per provenienza: all’interno della sub-regione specificità giovanilesi connotano micro aree linguistiche. Per esempio, a Nardò per dire ‘ho preso una sbornia’, i giovani usano la frase “m'aggiu ntursellatu". A Bagnolo “m'aggiu quadratu". In altre località il grado di ebbrezza è significato con locuzioni avverbiali che seguono l’espressione “m’aggiu mbriacatu“: “a stozze, a pizza, a ciola". Il termine “ciola", che nei nostri dialetti indica l’organo sessuale maschile, viene utilizzato dai giovani salentini anche nella frase “sei una ciola": ‘sei un buono a nulla’.
Per rimanere nella sfera della coprolalia, cioè delle parole oscene e volgari, l'interrogativa “sta pisci?", nel senso di ‘stai marcando il territorio?’, è una metafora mutuata dal regno animale: a Bagnolo lo dice chi vuole sottolineare la gelosia del partner che cerca di tenere alla larga – con ostentati atteggiamenti (baci, abbracci, ecc.) - possibili nuovi rivali che potrebbero minare la solidità della coppia. E questo, soprattutto, se il pericolo è rappresentato, per una ragazza, da una “ciumenta", letteralmente una ‘giovenca’ che, sempre con una metafora tratta dal regno animale, a Leverano indica una “bella ragazza". In realtà, il termine “ciumenta” in passato, nei dialetti salentini, era utilizzato per indicare una donna molto estroversa, senza alcun riferimento all’avvenenza.
Se si deve invitare qualcuno a ritrovare la calma alcuni giovani salentini dicono “mpoggiate", letteralmente ‘appoggiati’, quindi, rilassati. Se, invece, ci si trova di fronte a qualcuno che si dà molte arie, il giovane coetaneo, per segnalare il proprio disappunto, commenta “sta bazzu lì piedi" (sto alzando i piedi). Una miniera inesauribile, quella del linguaggio giovanile, fonte di energia rinnovabile, bella, che sfugge agli orecchi dei più. Vale la pena fermarsi, ascoltarli per comprendere anche “che lingua che fa” dalle loro parti, per evitare di cadere in inopportuni luoghi comuni e deprecabili generalizzazioni che cercano di appiattire un variegato mondo stratificato, eterogeneo, dinamico, vivace ed intrigante.