La petizione
«Salviamo gli ulivi del Salento»: oltre 20mila firme in due settimane
Continua a raccogliere l’adesione di cittadini, associazioni, reti e movimenti locali in difesa del territorio salentino
LECCE - «Salviamo gli ulivi del Salento », la petizione promossa dal gruppo omonimo, sulla piattaforma Change.org ha superato in sole due settimane 20.000 firme e continua a raccogliere l’adesione di cittadini, associazioni, reti e movimenti locali in difesa del territorio salentino, afflitto da un’emergenza incendi e da un processo di desertificazione dell’entroterra senza precedenti. L’iniziativa mira a far crescere una mobilitazione sociale e civile che chiede alle Istituzioni immediate azioni per fronteggiare e contrastare l’emergenza incendi, esasperata dalla stagione estiva e dalle condizioni climatiche, insieme a una più articolata opera di ripianificazione ecologica del territorio salentino.
«Ciò a cui ci troviamo di fronte non è più solo, e ormai da tempo, una crisi di comparto che interessa i soli coltivatori diretti e le imprese agricole - dicono - ma una catastrofe ecologica a cui siamo arrivati a causa di enormi ritardi nell’attuazione di efficaci azioni pubbliche di prevenzione, di politiche rurali e ambientali non sufficienti per fronteggiare il progressivo abbandono delle campagne, dell’abuso di pratiche agricole nocive e inquinanti. Tutto questo ha spianato la strada al “batterio kyller Xylella”».
«Già da tempo le istituzioni e la società pugliese e salentina avrebbero dovuto riconoscere che quello che sta accadendo negli uliveti e nelle campagne è un vero e proprio disastro ambientale - insistono - Come tale, richiederebbe una politica pubblica e un’azione civile e culturale di ricostruzione complessiva, integrata e diversificata delle aree rurali ormai in gran parte private degli uliveti, non potendosi limitare a incentivi a bando volti a lenire le perdite della produzione olivicola. Politiche di sostegno focalizzate in prevalenza sui reimpianti rischiano di agevolare la sostituzione della monocoltura olivicola perduta con altri tipi di monocolture a carattere intensivo, che siano ulivi o altre coltivazioni, non necessariamente autoctone, con tutti i rischi per la sostenibilità ambientale, economica e sociale che una monocoltura prima o poi comporta. Deve essere, piuttosto - sostengono - avviata una politica di ricostruzione ispirata ai principi della biodiversità, della sostenibilità ambientale, dell’equilibrata compresenza tra aree agricole coltivate, aree forestali e corridoi ecologici, di rispetto e ripristino del paesaggio in sintonia con la storia e la cultura locale, di pratiche agricole mirate a prevenire l’erosione dei terreni, ridurre il consumo idrico e l’uso di sostanze chimiche dannose per l’ecosistema. Servirebbe un approccio integrato a tutto il sistema naturale, per ricostruire un paesaggio nella complessità agro-silvo-pastorale».