il caso

Surbo, 50enne si opera all'anca e muore di infezione dopo tre mesi

Redazione Lecce

Parte l'esposto dei familiari della donna morta lo scorso settembre dopo l'intervento e due ricoveri

La Procura ha aperto un’inchiesta sulla morte di Maria Assunta Murrone, operaia 50 anne di Surbo deceduta il 12 settembre scorso.
Le figlie e il marito hanno depositato ieri mattina un esposto in Procura, tramite gli avvocati Antonio Arnesano e Loredana Trio, per chiedere alla magistratura di accertare eventuali responsabilità in capo ai medici che hanno avuto in cura.
Nell’aprile scorso la signora viene sottoposta ad un intervento di protesi all’anca, eseguito in una clinica privata: un’operazione programmata da tempo e perfettamente riuscita.

La ferita, però, tarda a rimarginarsi: al tempo stesso la signora lamenta costantemente un generale senso di spossatezza.
La situazione si aggrava improvvisamente a fine luglio: la 50enne viene ricoverata all’ospedale «Vito Fazzi» di Lecce in preda a febbre alta. I medici spiegano ai familiari che le condizioni della donna sono molto gravi, a causa di una forte infezione: fortunatamente, però, la tempestività delle cure riesce a scongiurare il peggio.

La signora Murrone resta ricoverata nel reparto di ematologia circa 20 giorni. Sulla cartella clinica viene scritto che la paziente ha contratto un virus, che in base ad alcune ricerche condotte dai familiari si può contrarre solo in sala operatoria.
Intanto all’altezza del collo compare un gonfiore sospetto, ed il personale del Fazzi decide di sottoporre la 50enne ad un secondo intervento chirurgico, sospettando che si trattasse di una neoplasia.
Alla fine l’ipotesi che si trattasse di un cancro viene scongiurata, poiché in realtà si trattava di una conseguenza dovuta all’infezione.

Le condizioni della signora Murrone sembrano essere buone, viene trattenuta nel reparto di otorinolaringoiatria solo per effettuare alcune medicazioni al collo. La mattina del 12 settembre, però, accade qualcosa di inaspettato: durante la medicazione insorge una fortissima emorragia, seguita da due arresti cardiaci uno dei quali si rivela fatale.
La cartella clinica parla di una rottura spontanea della giugulare, ma i familiari temono che la vena sia stata erroneamente recisa nel corso della medicazione.
Alla Procura il compito di fare chiarezza.

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