Accadde oggi

Bari sepolta nel fango per l’alluvione del ’26

Annabella De Robertis

La «Gazzetta di Puglia» racconta il tremendo bilancio di 20 morti Sempre a novembre, nel ‘99, il crollo di viale Giotto a Foggia

«Post fata resurgo»: il 13 novembre 1926 «La Gazzetta di Puglia» racconta il lento ritorno alla normalità della città di Bari dopo la devastante alluvione che l’ha colpita otto giorni prima, tra il 5 e il 6 novembre 1926. Si tratta del terzo violento episodio che si abbatte in città dall’inizio del Novecento: già nel 1905 e nel 1915 vi erano stati morti, feriti e ingenti danni. Una pioggia ininterrotta di due giorni basta ad abbattere gli argini del torrente Picone: in piena notte, la piena si riversa nel centro abitato e la furia devastatrice dell’acqua e del fango causa 20 morti e più di 50 feriti. «Giornata d’intenso lavoro di riordinamento e di riparazione fu quella di ieri nei quartieri dove otto giorni orsono una terribile valanga di acqua e di fango gettava nella più squallida miseria migliaia di famiglie che si erano costruite il loro nido, lavorando infaticabilmente», si legge sul quotidiano.

Continuano ininterrottamente le attività di rimozione della melma e dell’acqua dalle strade e dalle cantine: quattro stabili sono completamente crollati in via Ravanas 210 e 212, in via Nicolai 252 e in via Principe Amedeo 402 e molti altri sono stati puntellati poiché pericolanti, ma la conta dei danni è ancora in corso. «Le famiglie che dall’alluvione sono state danneggiate, dovendo abbandonare le proprie abitazioni, masserizie e indumenti personali, ascendono a circa 1500 con 6000 componenti», scrive il cronista. Di questi, molti hanno trovato rifugio in case di amici e conoscenti, ma circa tremila sono alloggiati in ricoveri messi a disposizione dal Comune. La maggior parte degli sfollati sono stati accolti nell’edificio scolastico della Madonnella, nella scuola della Madonna dell’Arco, nei locali dell’Ospedale consorziale, nella scuola «Abbrescia»: dato che i locali sono privi di brande o di letti, i rifugiati dormono sulla paglia. Si è scatenata, però, una gara di solidarietà: donazioni arrivano dagli stessi cittadini baresi e dalle associazioni dei Pugliesi a Roma, Torino e Milano.

Le sottoscrizioni alla raccolta fondi lanciata dalla «Gazzetta» hanno fatto già raggiungere la cifra record di ottocentomila lire. Anche i commercianti fanno la loro parte: le calzolerie della città mettono a disposizione 214 paia di scarpe per chi ne ha bisogno e il grande negozio de La Rinascente, che nel 1925 aveva inaugurato la nuova splendida sede in via Sparano, annuncia una grande vendita a prezzi sotto costo «pro famiglie danneggiate».

Il 13 novembre 1999, invece, «La Gazzetta del Mezzogiorno» è costretta a render conto di un’altra, terribile, tragedia: l’11 novembre di venticinque anni fa, una palazzina di sei piani in viale Giotto 120, a Foggia, è improvvisamente crollata su se stessa alle 3 di notte. A 48 ore dal disastro il bilancio è di 35 morti. Purtroppo, nelle ore successive il dato raddoppierà: le vittime di viale Giotto saranno 67. «Sono venuto per portare la partecipazione dell’Italia tutta a Foggia, a coloro che stanno soffrendo, a coloro che sono state vittime di questa immane disgrazia, a chi ha i propri cari sotto le macerie. Bisogna capire perché è successo», sono le parole del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, in visita a Foggia insieme alla moglie Franca. Mentre i soccorsi vanno avanti, è già il tempo di fare chiarezza: nel crollo sono morti anche Antonio e Raffaele Delli Carri, che trent’anni prima avevano costruito il palazzo, perciò i cronisti della «Gazzetta» ascoltano gli inquilini superstiti, intervistano altri imprenditori edili della città per cercare le possibili cause del disastro. Per il momento un solo, enorme sospetto: alla fine degli Settanta erano stati eseguiti lavori per realizzare posti auto nel piano interrato. «Ma tutti i box costruiti in lamiera erano facilmente accessibili? Oppure per alcuni di essi ci si era accorti che sarebbe stato impossibile entrarci per difficoltà di manovra?», si chiede Lello Vecchiarino. «E da cosa era rappresentata tale difficoltà? Forse da un pilastro centrale, che è stato quindi abusivamente eliminato? È bene ricordare che il palazzo di viale Giotto non ha ceduto lateralmente: si è invece accartocciato su se stesso, come se fosse imploso, come se qualche appoggio al centro della sua base fosse venuto a mancare... È un’ipotesi; micidiale ipotesi, che insieme alle altre gira fra le pieghe di una città silente che ora conta i suoi morti ma vuole una ragione». La terribile ragione sarà individuata dai magistrati nel criminale utilizzo di materiali di scarsa qualità nella costruzione del palazzo, che ha comportato la rottura di un pilone al piano interrato. Esattamente cinque anni dopo, il 20 novembre 2004, Foggia sarà nuovamente ferita da un crollo di un palazzo, avvenuto in via delle Frasche per una fuga di gas, provocando altri otto morti.

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