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Alta tensione a Bari per Giordano Bruno
Sul «Corriere delle Puglie» del 21 febbraio 1910 si legge dell’inaugurazione della lapide in onore di Giordano Bruno apposta sulla facciata del Palazzo comunale di Bari
Sul «Corriere delle Puglie» del 21 febbraio 1910 si legge dell’inaugurazione della lapide in onore di Giordano Bruno apposta sulla facciata del Palazzo comunale di Bari. C’è grande tensione per la manifestazione: si temono, infatti, violenti scontri tra i cattolici e gli anticlericali. L’iniziativa barese arriva poco più di venti anni dopo la realizzazione della statua in onore del filosofo nolano in Campo de’ Fiori a Roma, lì dove arse il rogo dell’Inquisizione il 17 febbraio 1600. Il prefetto Gasperini e il questore Nay Savina hanno disposto un accurato servizio d’ordine per la tutela della sicurezza: Carabinieri, agenti di pubblica sicurezza e soldati di truppa sono schierati nei punti strategici della città. Un grande corteo composto dalle associazioni patriottiche e democratiche, dalle logge massoniche, dagli studenti e dagli iscritti alla Camera del Lavoro sfila per corso Cavour con fiammanti bandiere: «La musica cittadina, alternando gli inni popolari, infondeva entusiasmo nei giovani, i quali stringendosi in una massa compatta inneggiavano a Bruno e, nella foga dell’entusiasmo, non risparmiavano “abbasso ai preti, alla Chiesa, al Papato”».
Alle 11 in punto il velo che copre la lapide cade al grido di “viva Giordano Bruno”, mentre echeggiano le note dell’inno di Garibaldi. Accanto al medaglione realizzato dallo scultore Biondi è incisa l’epigrafe dettata dall’avv. Raffaele Bovio: “A Giordano Bruno – che sfidando il rogo – inaugurò la religione universale del pensiero. La democrazia barese, vigile, operante”. Così conclude la sua orazione Bovio, che dieci anni più tardi diventerà sindaco della città: «Questa che noi celebriamo con tanto slancio di sentimento popolare ed incondizionato consenso di tutte le gradazioni della democrazia locale è la festa del pensiero libero ed universale. Chi nega Giordano Bruno, rinnega il pensiero, annienta sé stesso, distrugge la scienza, cancella la storia». Mentre davanti al Palazzo di Città si svolge questa laica cerimonia, i Cattolici, i quali hanno ottenuto che la lapide non fosse firmata dalla cittadinanza intera, celebrano in Cattedrale una «messa di espiazione». La giornata, nonostante le previsioni, si è infine conclusa senza alcun incidente.
Il 21 febbraio 1966 la Cronaca di Bari de «La Gazzetta del Mezzogiorno» è interamente occupata dal racconto della 39esima edizione del “Veglionissimo della Stampa” al Teatro Piccinni, appuntamento consueto del periodo carnevalesco. La tradizione è iniziata nel 1921, promossa proprio dall’antenato della «Gazzetta», il «Corriere delle Puglie». Quella del ‘66, tuttavia, è un’edizione eccezionale, la cui scenografia è stato interamente curata dagli artisti Raffaele e Francesco Spizzico e le luci, invece, da Sabino Paulicelli: «Pubblico selezionato ed elegantissimo, presenti come sempre quasi tutte le maggiori autorità e personalità della città e della regione. Era il Veglionissimo “pop and op”. E i fratelli Spizzico hanno svolto i due temi come meglio non avrebbero potuto. Un allestimento estrosissimo, divertentissimo. Gli oggetti più disparati (imprescindibile regola pop) roteavano in una cornice fantasmagorica. Sopra il palco della giuria la ormai arcinota caffettiera, alta quattro metri. Sul palcoscenico, nello sfondo, manichini, dentifricio, macinino da caffè, vaso di fiori, un tavolo sparsi qua e là. Poi gli effetti “op”. Siparietti di plastica decorati con motivi luminescenti si incrociavano sciabolati dalle luci del mago Paulicelli. Composizioni che svanivano in una rapida fuga prospettica ed altre che mirabilmente sorgevano dal nulla. Una trovata impareggiabile degli allestitori che ha costituito un po’ il clou della serata, assieme all’altra dell’impianto televisivo a circuito chiuso». Non solo scenografia, ma anche musica: nell’ottocentesco teatro comunale della città si sono esibiti, infatti, artisti sulla cresta dell’onda nel panorama nazionale. Iva Zanicchi ha eseguito i «pezzi più sentiti del suo repertorio», creando un’atmosfera di ineguagliabile fascino. «In una serata eccezionalmente impegnativa, ha dimostrato di avere numeri e qualità per imporsi. La sua è stata una conferma dopo il successo di Sanremo», commenta il cronista. Dopo la Zanicchi è arrivato il turno di Little Tony, che ha presentato brani di Ray Charles, Tom Jones, e Bob Dylan, ben adattati ai gusti italiani, confermando di «non subire passivamente l’influsso americano ma di saper trasformare i motivi proposti allineandosi con la tradizione della canzone italiana».