Il parere

Ricongiungimento familiare del personale militare: come avvicinarsi a casa?

Avv. Giuseppe Chiaia Noya e Adriano Garofalo

Da molti anni il nostro studio si occupa di assistere il personale militare ed appartenente alle forze di polizia, nella gestione di tutte le problematiche connesse al conflitto che spesso sorge tra le contrapposte esigenze della famiglia e della peculiare organizzazione di tali P.A. L’esigenza di avvicinarsi al luogo di residenza per un militare o per un appartenente alle forze di polizia è connessa a bisogni, spesso gravi, del nucleo familiare, a stati di disabilità di prossimi congiunti, alla nascita di un figlio. Il lavoro del personale militare, regolamentato dal Codice dell’Ordinamento Militare (D.lgs. n. 66/2010) e dal relativo Regolamento (DPR n. 90/2010) si pone in termini di specialità rispetto ai rapporti di impiego del personale civile in ragione, tra l’altro, della peculiarità dei compiti affidati al dipendente e dei requisiti di efficienza operativa richiesti in via continuativa per esigenze fondamentali di difesa ed ordine pubblico.

Dalle esigenze assai peculiari della Forza Armata e delle Forze di Polizia deriva che i dipendenti sono assegnati ove è ritenuta necessaria la loro presenza. Il ruolo del legale, in questi casi, è soprattutto quello di verificare l’effettività delle esigenze di modo da prestare adeguata assistenza nelle ipotesi meritevoli di attenzione e far sì che presso gli Uffici del Personale competenti giungano richieste idonee ad un esito favorevole. Talvolta situazioni difficili vengono risolte stragiudizialmente; altre volte, però, la posizione del richiedente viene sacrificata all’esigenza delle Forze Armate e, quando appaia verosimile che non vi sia stato un corretto bilanciamento delle esigenze contrapposte, si può valutare se ricorrere al competente TAR. Tra le più frequenti cause di contenzioso amministrativo per tali dipendenti pubblici vi sono quelle connesse alla maternità e paternità.

E’ frequente che un dipendente presti servizio in una sede lontana geograficamente dalla residenza familiare o, comunque, dal luogo in cui si trovi l’altro genitore, e che avverta l’esigenza di “avvicinarsi” per poter garantire la propria presenza nella delicata fase dei primi anni di vita del bimbo, le cui esigenze trovano un’esplicita tutela non solo a livello costituzionale (art. 31 della Costituzione), ma anche in fonti di rango sovranazionale, quali la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza) o la Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza del 1989. La legge italiana (art. 42-bis del D.lgs. n. 151/2001) ha previsto uno specifico istituto che consente al genitore con figli minori fino a tre anni di età, che sia dipendente di amministrazioni pubbliche, di chiedere di essere assegnato ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l'altro genitore esercita la propria attività lavorativa, purché sussistano posti disponibili di corrispondente posizione retributiva. Tale norma, è ritenuta applicabile al personale militare e di polizia maschile e femminile, tenendo conto del particolare stato rivestito (art. 1493 D.lgs. n. 66/2010).

Proprio quest’ultima precisazione, però, ha dato luogo a frequenti contenziosi tra militari o appartenenti alle forze di polizia (i quali chiedono di essere avvicinati all’altro genitore) e la P.A. di appartenenza che a sua volta rappresenta l’assenza di posti disponibili nella sede di auspicata assegnazione o l’esistenza di un deficit organico nella sede di appartenenza, tali da sconsigliare la sottrazione di personale, pena il verificarsi di criticità organizzative. Al fine di risolvere tali contrasti, il legislatore, nel 2015, ha modificato l’art. 42-bis in parola, stabilendo che “L'eventuale dissenso deve essere motivato e limitato a casi o esigenze eccezionali”. 2 L’alta frequenza dei contenziosi amministrativi tra P.A. - che rigettava le istanze pretendendo situazioni di rigido equilibrio - ed i dipendenti che invocavano sempre e comunque l’assenza di situazioni eccezionali, ha indotto il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 961 del 2020, a chiarire le modalità di valutazione delle situazioni legittimanti il rigetto della domanda.

Nella decisione, i cui criteri sono stati rispettati nei successivi giudizi, sono stati esemplificati i seguenti casi in cui è possibile ravvisare la predetta “eccezionalità” e, quindi, rigettare le domande: a) quando la sede di assegnazione presenti una rilevante scopertura di organico, individuata nella percentuale pari o superiore al 40%; b) quando, pur non essendovi una scopertura come quella innanzi descritta nella sede di assegnazione, il comando superiore a quello di appartenenza presenti una carenza organica di tale misura; c) quando la sede di assegnazione, in ogni caso, presenti comunque un vuoto di organico e sia ubicata in un contesto connotato da peculiari esigenze operative (emergenze di tipo terroristico, fenomeni di criminalità organizzata di stampo mafioso ecc.); d) quando l’istante svolga un ruolo per il quale risulti insostituibile; e) quando il richiedente sia comunque impiegato in un programma o in una missione speciale ad altissima valenza operativa. Sono questi, oggi, i criteri che l’Amministrazione di appartenenza deve prendere in considerazione per accogliere o rigettare le istanze dei richiedenti e che l’avvocato deve tener in debito conto per “guidare” l’assistito al fine di ottenere il beneficio richiesto o, al contrario, non coinvolgere lui e l’Amministrazione in contenziosi dal prevedibile esito negativo. Va segnalato che il D.Lgs. n. 172/2019, in relazione al personale svolgente compiti di polizia, ha previsto che in relazione alle istanze di cui all’art. 42-bis, “Il diniego è consentito per motivate esigenze organiche o di servizio”, così sostanzialmente eliminando il requisito della “eccezionalità” introdotto nel 2015. Ciò ha indotto tutte le amministrazioni ad invocare l’applicazione di tale norma e a rigettare le richieste di assegnazione pur in assenza di situazioni connotate da “eccezionalità”.

Ma al riguardo vanno fatte due considerazioni. In primo luogo che la modifica entrata in vigore nel 2020 è stata inserita nel D.lgs. n. 95/17 che riguarda il solo personale delle Forze di polizia e non anche il personale di Esercito, Marina ed Aeronautica che non svolga funzioni di polizia (si veda la sentenza del Consiglio di Stato n. 196 del 2021). In secondo luogo l’indirizzo interpretativo del Consiglio di Stato sopra ricordato è da ritenere applicabile anche dopo la novità legislativa del 2019, potendo essere utilizzato per individuare, nei singoli casi, quali siano le “motivate esigenze organiche o di servizio”. Non sarebbe male costituire un tavolo tecnico di confronto con le P.A. interessate che possa servire a salvaguardare e contemperare l’interesse pubblico della P.A. e quello dei suoi dipendenti evitando, così, costosi contenziosi, assai impegnativi per tutte le parti coinvolte.

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