Vento da Sud

La poesia ci cura dall’abbandono

Raffaele Nigro

Leggendo i versi ermetici e introspettivi di Rita Greco. E verso Mesagne, dove torna un premio letterario ventennale

Più volte sono tornato a Mesagne, per visitare il Museo della civiltà messapica, nel mastodontico castello normanno svevo o per convegni su Epifanio Ferdinando, il filosofo e medico seicentista che ci ha lasciato tra i tanti studi una breve monografia sul tarantismo. Da aggiungere che Mario Marti, l’italianista dell’Università di Lecce che ha speso gran parte della sua vita nello studio sullo Stil Novo, ha pensato bene di donare gran parte della propria biblioteca alla città brindisina, una biblioteca ricca di cinquecentine e di qualche incunabulo che oggi supera gli oltre trentamila volumi.

Mesagne è una città bella e accogliente, verde di giardini chiusi intorno a un centro storico tutto da visitare e vivere. Mentre per la spesa quotidiana c’è da aggiungere che un grande balzo in avanti le hanno offerto i tanti ipermercati costruiti a ridosso della statale per Taranto.

Ci torno nei prossimi giorni richiamato da un premio letterario indetto dall’ Associazione Culturale Solidea (Utopia) in collaborazione con il Comune di Mesagne, l’Università del Salento e alcuni sponsor privati. Attenta alla formazione culturale dei giovani, l’Associazione Solidea fondata e diretta da Enzo Dipietrangelo ha indetto da circa vent’anni il Premio Nazionale Città di Mesagne, che si occupa di narrativa, poesia, saggistica e teatro. Tra i vincitori delle passate edizioni i narratori Roberto Pazzi e Alessandro Piperno, ma la manifestazione è rivolta alla presentazione di volumi editi nell’anno e alla scoperta di giovani talenti. Tra i giurati, scelti tra i docenti delle scuole mesagnesi, la professoressa Elisa Romano e l’attrice Rita Greco.

Nel luglio 2023 saranno premiati Caterina Pendinelli di Taranto e Anita Piscazzi di Acquaviva delle Fonti per la poesia, Massimiliano Morelli di Bari e Maria Teresa Infante di San Severo per la narrativa, Luciana Guido di Genova per il teatro e il calabrese Salvatore La Moglie per il saggio Profili letterari del Novecento.

La manifestazione riapre le porte della cultura mesagnese dopo il lungo periodo di silenzio imposto dal Covid e si prepara dunque a una edizione estiva ricca di fuochi d’artificio e di speranze per il futuro.

In qualche modo legato al premio è un volume di versi che da tempo Rita Greco, anima della kermesse mi ha inviato e che mi riprometto da mesi di presentare al pubblico dei lettori del nostro giornale, La gioia delle incompiute, edito dall’editore Giuliano Ladolfi e prefato da Alfonso Guida. Il libro è giunto alla terza edizione in tempo breve, un buon segno in queste stagioni così micragnose di lettori della poesia e della narrativa. Appassionata di versi scritti da grandi maestri, la nostra autrice viaggia in un universo letterario di altissimo profilo, tra Wislawa Szymborska , Octavio Paz e Marina Cvetaeva, a cui si abbevera e che accoglie in più punti della silloge, come per farsi tenere compagnia. Perché al fondo dei suoi versi c’è un senso di malinconia determinato dalla sfiducia in chi le aveva promesso di camminare insieme sull’orlo del baratro. Un viaggio di grande pericolo, a causa della eccessiva disponibilità della poetessa - attrice.

Apre infatti con dei versi molto belli e dove l’immagine che offrono della sensibilità sentimentale della Greco è palese: «Guarda, ho il cuore liquido e mi scorre in ogni direzione».

La silloge si compone di tre momenti, L’ombra amorosa, che accarezza la stagione dell’innamoramento, in cui si fondono versi e baci «Io porto le poesie tu i baci io una nuvola di parole tu il dono azzurro dell’ascolto». Un secondo momento è L’incompiuta, ovvero il tempo del dubbio e del silenzio, il tempo in cui si osservano «le cose che non sono mai diventate cose, le idee che non si sono mai fatte cose» perché l’amore che ci si aspettava non è fiorito al modo in cui lei avrebbe voluto. Ecco allora il terzo momento, il tempo di «Addomesticare lo spavento» e affidarsi alla meditazione su ciò che è stato. Chi potrà alleviare le pene? La poesia.

Una poesia che viaggia tra ermetismo e introspezione psicologica e che dichiara in chiusura di raccolta quale sia la funzione della scrittura in versi: «Io chiedo alla poesia la cura e l’abbandono, il fascio di luce che germoglia dal mio viso al tuo, la colpa dissolta, l’onda lunga del perdono». Dove si contengono tutti gli elementi del romanzo in versi, la colpa dissolta, l’onda lunga del perdono grazie alla luce che dagli occhi di lei germoglia, e grazie alla poesia che è medicina per dimenticare e curare. Una «parola che cura» incontrata già altrove e la fiducia massima nei versi, perché «la poesia si chiama resurrezione».

È raro imbattersi in una poetessa di tale qualità, capace di chiudere in un libro di poche pagine un poema d’amore fatto di riflessioni in un linguaggio quotidiano, fitto di «rancore e nostalgia», con «l’occhio di languido rimpianto» e che grazie ai versi può ammettere l’avvenuta guarigione: «un mattino di gennaio mi svegliai e provai a rifarmi intera».

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