L'intervista

«La politica è devastata: da sovrana ridotta a serva», parla Fausto Bertinotti

Michele De Feudis

«Elly? Liberal alla americana. La rivolta francese? Una chance antiliberista»

Presidente Fausto Bertinotti - oggi a Soleto (Lecce) per la presentazione del saggio «La dissoluzione della democrazia» (Castelvecchi), con il rettore Fabio Pollice e il prof. Nicola Grasso - che stagione politica vive l’Italia?

«La crisi dei partiti sta portando alla progressiva dissoluzione della democrazia. Siamo nella fase terminale di un processo durato più di un quarto di secolo. Assistiamo ad una costituzione materiale regressiva, con un distanziamento costante dell’economia e della società italiana dal perimetro della costituzione repubblicana».

Cosa caratterizza il nostro tempo?

«Si assiste al predominio del mercato e dell'economia sulla politica e a un progressivo restringimento degli spazi democratici».

Come si registra questa svolta?

«È finito il lungo dopoguerra italiano, iniziato con resistenza, antifascismo e Costituzione. Si sta aprendo un nuovo ciclo totalmente diverso: una democrazia autoritaria i cui scampoli sono visibili da tempo».

A cosa si riferisce?
«Al restringimento della partecipazione, alla mutazione delle elezioni con il voto reso insignificante per una larga parte degli elettori, alla riduzione dei poteri del parlamento».

L’esecutivo Meloni?
«Una volta c'era un tale pudore per la destra. Dopo il governo Parri, la destra fu costretta a definirsi centrista, era un ospite sgradito nella Costituzione italiana».

Gli italiani hanno scelto la leader di Fratelli d’Italia per Palazzo Chigi.
«Ora la destra, senza nascondimenti, è al governo con una chiara vocazione al comando».

La Meloni è stata un suo interlocutore antico. Da segretario di Rifondazione partecipò alla festa di Atreju nel 2006…
«Nei leader politici conta il rapporto con il sé rispetto alla fase storica. Distinguo tra le capacità del leader politico e l’utilità del medesimo per le sorti del Paese: può essere capace ma avere un disegno per portare l'Italia indietro. O viceversa».

Che evoluzione ha avuto la leader della Fiamma?
«Una mutazione direi, in parte determinata dalla condizione. L’Italia dell’arco costituzionale non è paragonabile all’attuale. La Meloni si promuove di fronte alla novità assoluta: la fine della repubblica e la fine del dopoguerra. Nella nuova fase, con i postmissini fuori dalla marginalità, il disegno che la premier interpreta è far diventare centrale la destra nel nuovo sistema politico».

Si discute di riforme istituzionali…
«L’unica riforma istituzionale è questa, la destra che aspira a essere perno del sistema, il resto è paccottiglia. Quando si è toccata la Carta, si è peggiorato il quadro, come con il Titolo V, con la scandalosa introduzione del pareggio di Bilancio nella Costituzione. Altri cambiamenti sono falliti. E spero sia un buon auspicio per i prossimi tentativi…».

Il panorama delle opposizioni?
«Siamo dentro una crisi storica, prodotta dalla fine della sinistra e del movimento operaio, delle forze comuniste, socialiste e laburiste. Assistiamo alla incapacità di trovare un nuovo bandolo della matassa».

Che cammino ha intrapreso il Pd con la Schlein che ha accelerato sui diritti civili?
«Fa bene a occuparsi dei diritti civili, ma queste politiche la configurano come una “liberal all’americana”. Il Pd non è una sinistra in grado di costruire un'alternativa di società. Non se lo propone nemmeno questo obiettivo».

La sinistra ha modelli a cui ispirarsi?
«Penso alla Francia e alla sua piazza con un vivo conflitto sociale. Il conflitto sul lavoro genera tumulto e la possibilità della rinascita della democrazia. Parigi non è un modello, ma una possibilità concreta in Europa di agire all’opposizione delle politiche neoliberiste e neoautoritarie di Macron, che prolunga la vita lavorativa facendo infuriare chi è soffocato dal lavoro».

Tra 25 aprile e Primo maggio nuovo cortocircuito politica-storia.
«La pacificazione è intervenuta il 25 aprile del 45 e poi con la Costituzione. Adesso si vuole proporre una pacificazione revisionista, costituita dal rifiuto di quella vulgata. Come nelle favole antiche: uno dice pacificazione e propone la nullificazione di una parte. Poi c’è l’attualità».

Le nomine?
«Avvengono con una sgrammaticatura istituzionale evidente, con leggi ad hoc. Vince la cultura maggioritaria del “prendo tutto”».

In Puglia Nichi Vendola aveva rappresentato una speranza per la sinistra non liberista.
«Ci sono state tante “promesse”: i conflitti sociali, esperienze come il governo della Puglia, soggettività come Rifondazione, il movimento altermondista. Purtroppo ha vinto la globalizzazione capitalistica, una potenza gigantesca. La politica è stata devastata: da sovrana, è diventata serva. La costruzione europea è la dimostrazione di un tradimento: socialmente produce disagio e precarietà. L’Ue a livello internazionale non esiste, è una articolazione degli Usa. Le cose vive avvengono non contro una forza politica ma contro le élite dirigenti. Popolo contro élite».

È la tesi del filosofo francese delle destre eretiche Alain de Benoist…
«Sì, è l’attuale dicotomia della politica. In Francia più evidente».

Sulla guerra?
«La fase bellica è figlia di questo tempo non governato dalla politica, che vede riemergere i conflitti di potenza di una patria contro l’altra, perché è fallita l’unificazione capitalistica con la globalizzazione. E sotto cova la vera contesa tra Usa e Cina, con i mostri come la guerra».

Cosa potrebbe fare la politica?
«Combattere il mostro, non partecipare “dentro” il mostro. L’Ue dovrebbe avere questa vocazione ma ha tradito se stessa, dimenticando le aperture verso l’altro, verso il Mediterraneo, come codificato da Franco Cassano. La pace è la capacità di proporre una iniziativa politica che l’Ue dovrebbe assumere con i Paesi che cercano questo. Siamo abbagliati dal “cortile dell’Occidente”, ma tre quarti dell’umanità non pensa come l’Occidente e prova rancore nei confronti di questa opzione. Perciò non si schiera nella guerra, come il Brasile e l’India».

Ha un libro da consigliare ai giovani che in forme originali, a volte discutibili, scelgono di impegnarsi in politica?
«Vede, spuntano dei fili d’erba… Proporrei una lettura di Marx (sorride, ndr)».

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