Vento da Sud

Tommaso Di Ciaula e le vecchiette naïf

Raffaele Nigro

Che meraviglia di uomo e di poeta è stato Tommaso Di Ciaula, un carattere complicato, in guerra con una società sorda alla poesia, un disperato ricercatore di onestà

Mi capita scavando nella mia libreria un libro di Tommaso Di Ciaula edito da Vito Radio nel 2007, «Ogni poesia è un mistero - Poesie inedite», con prefazione di Vito Intini e in appendice i Dipinti con l’Anima di Maria Trentadue. Sono poesie tenere e riflessive, quasi il guerriero che abbiamo conosciuto in tutta la vita con le armi in pugno decida all’improvviso di abbassarsi e intenerirsi. Un tragico presagio di ciò che sarebbe accaduto un anno fa, quando Tommaso ci ha lasciato all’improvviso: «ho bestemmiato tutto, ho urlato, ho pianto/ e desidero al più presto tra queste pietre /diventare anch’io una pietra oppure un insetto o una formica».

Che meraviglia di uomo e di poeta è stato Tommaso Di Ciaula, un carattere complicato, in guerra con una società sorda alla poesia, un disperato ricercatore di onestà. Veniva a trovarmi frequentemente in Rai e mi raccontava delle fortune incontrate in Germania dalla sua Tuta blu e poi da L’odore della pioggia. Allora lui vedeva quei libri come fossero pane, raccontava le difficoltà dell’essere operaio metalmeccanico, quasi anticipasse le difficoltà del mondo tarantino dell’Ilva e la morte della semplicità contadina. Una sorta di discepolo di un altro poeta della cultura agraria, quale fu Scotellaro. Ma il Tommaso che amavo era quello di Chiodi e rose, una poesia che si muoveva tra l’acciaio della fabbrica e la tenerezza dell’amore e la genuinità della natura. Un poeta del quale vorrei che Laterza o Adda o Manni raccogliesse tutto ciò che ha scritto in un’unica edizione, perché la Puglia non lo dimentichi e gli tributi quel successo e quel rispetto che non ha saputo riconoscergli in vita. Un uomo che ha vissuto la vita come un’esperienza di guerra, che si incendiava per la sordità delle istituzioni e che mi parlava della bellezze di certe ragazze di colore che venivano svendute sulla strada e per le quali avrebbe voluto consumare tutto ciò che guadagnava, pur di riscattarle da una vita infelice e da schiavisti senza scrupoli.

Sfoglio il libro e mi imbatto in una dedica autografa finora sfuggitami, una pagina che è una testimonianza vera e diretta. In realtà, a leggerla oggi, mi appare come un testamento e una riflessione sulla propria esistenza, espressa ad un amico con cui s’è condivisa gran parte della vita ma con cui si è anche accapigliato spesso per questioni letterarie. La riporto, sicuro di non fare alcun tradimento a Tommaso e non offendere coloro che vi sono citati.

«Caro Raffaele Nigro, ecco la mia nuova opera, io editore e gallerista/critico di Putignano e le vecchiette naif di Modugno. Così, Intini ha detto facciamo un catalogo per la mostra…Che dici hai poesie inedite? “Quante ne vuoi?”.

Non sono nato sotto una buona stella! Do il max ed ho il minimo. Tolto il raccontino su “Gazzetta” (sottopagato) la Puglia terra matrigna mi ha sepolto vivo!

Non mi sono mai illuso piegato dalla sfiga, guai, solitudine, imbranataggine ecc. Ma essere zero non è giusto!

Ti ringrazio per ciò che puoi fare per questa opera (mi hanno dato 200 copie) e senza diritti d’autore!

P.S. Io portai Sivilli da Maria Trentadue, a Modugno. Grazie a me si trova tutte quelle opere.

P.S. Nel Nord se li inventano concorsi di scrittura costosissimi, i poeti/scrittori, qui li buttano alle ortiche!

Mi dici che se ne fregano dell’opera letteraria, ma secondo me, non è vero: “Presidi del libro”, un mare di incontri letterari dappertutto, Nichi è conteso dappertutto, perché scrive poesie! Incontri da Laterza, Feltrinelli, Premio Barocco, Premio mba’ Giuvann, Boh!

Scusami del bla bla, Un caro saluto, T. Di Ciaula».

Maria Trentadue era una donna nata nel 1893 e scomparsa nel 1977. Di lei Tommaso ricorda che abitava a Modugno e che un giorno passando per una strada interna al paese vede sotto un muro di calce ad asciugare al sole, degli oggetti vivacemente colorati: piatti, brocche, capasoni, bottiglie di varechina. «Mi presentai alla vecchia artista. Mi fece entrare in casa. Diventammo amici, Era il 1970». Quell’incontro fu provvidenziale per la pittrice casalinga, perché parecchio più tardi la Pinacoteca Provinciale organizzò una retrospettiva e acquisì alcune opere e con intervento di Di Ciaula e di Clara Gelao pubblicò un catalogo col titolo Maria Trentadue una naive pugliese.

Tommaso era questo. Sì, si adirava per poco, ma è anche vero che si aspettava dalla società civile un lavoro degno della sua creatività, era una voce isolata che si batteva per una categoria non amata nel tempo in cui si bada solo all’economia, alla pragmaticità. Sarebbe bello se l’università o qualcuno dei gruppi che fanno poesia decidesse di organizzare un convegno o un premio letterario intitolato a Tommaso, o una qualche amministrazione gli dedicasse una via, se non altro per restituirgli qualcosa di ciò che lui ha donato a questa regione. Perché i monumenti che fanno bella una terra non sono solo le vestigia di pietra, ma sono gli uomini che l’hanno attraversato e hanno lasciato delle impronte indelebili.

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