L'analisi

Taranto, il futuro è nelle mani degli elettori

mimmo mazza

«Oggi e domani va alle urne (vedremo in quanti ci andranno) una città disillusa, stanca di promesse roboanti puntualmente disattese e di amministratori pubblici incompetenti, incapaci di piegarsi su un libro per capire come funziona lo stabilimento siderurgico ex Ilva»

Taranto speriamo che se la cavi. Oggi e domani va alle urne (vedremo in quanti ci andranno) una città disillusa, stanca di promesse roboanti puntualmente disattese e di amministratori pubblici incompetenti, incapaci di piegarsi su un libro per capire come funziona lo stabilimento siderurgico ex Ilva, almeno il necessario per non farsi prendere per i fondelli dal politicante o dal lobbista di turno che mette in croce quattro grossolane bugie e pensa di essersi preso gioco del popolo tarantino, inquinato e tradito, oltre che della verità sostanziale dei fatti. «Chiuderemo l’Ilva» si urla dai palchi da diverse campagne elettorali e anche questa non ha fatto eccezione, con il consueto gioco di parole: «chiuderemo le fonti inquinanti», vaste programme. Intanto l’Ilva si chiude da sola, la chiude il mercato, perché gli impianti stanno dimostrando tutti gli anni che hanno e le innovazioni nel ciclo produttivo restano sempre progetti non finanziati. Mentre lo scaricabarile sulle colpe dell’inerzia fa dei giri immensi per poi ritornare al via, ArcelorMittal, la multinazionale che nel 2018 rilevò in fitto finalizzato all’acquisto il complesso aziendale ex Ilva salvo fuggire un anno fa a gambe levate, ha decabornizzato tutti i suoi impianti in Francia e Belgio, dismettendo l’ambientalmente oneroso ciclo integrale (che resiste ormai solo a Taranto) e dimostrando che un’altra e sostenibile produzione di acciaio è possibile. Basta volerlo e sarebbe utile ricordarlo a chi ha consentito ad ArcelorMittal di badare solo e soltanto agli affari suoi durante la permanenza in riva allo Jonio: presto o tardi sarà ancora una volta l’attività di supplenza della magistratura a svelare fatti e misfatti.

Non c’è solo l’Ilva e non dovrà mai più esserci una monocultura industriale nell’orizzonte di una città obbligata a diversificare la sua economia, puntando con decisione sul mare, con le sue mille declinazioni – dalla mitilicoltura al turismo, dai cantieri navali agli sport acquatici – potenziando e creando ex novo un tessuto imprenditoriale non più legato mani e piedi al siderurgico ma in grado di camminare da solo, forte di una classe operaia tra le più formate e capaci d’Italia, pur alienata dalle robuste dosi di cassa integrazione ricevute nell’ultimo decennio. Le sfide che attendono i futuri amministratori sono da brivido perché non c’è solo l’Ilva: tra un anno ci saranno i Giochi del Mediterraneo, una formidabile vetrina se ci si arriverà bene e in tempo mentre, nel frattempo, Taranto è rimasta pure senza squadra di calcio. L’esercito di candidati alla carica di sindaco e di consigliere comunali non è il massimo della vita ma lo specchio riflesso di una comunità sempre pronta al lamento e spesso poco incline a fare qualcosa di concreto per asciugare le ragioni di quel lamento. La soluzione non è mai non andare a votare ma candidarsi al governo del Comune o scegliere il candidato dal quale compreremmo un’auto usata e dunque affideremmo il futuro di una città dallo splendido futuro possibile se tutti i finanziamenti annunciati saranno utilizzati in maniera avveduta e coerente, privilegiando competenza, dinamismo, relazioni e profilo umano (anche in un altro ordine, se guardiamo nello specchietto retrovisore). Perché – ora o davvero mai più – Taranto se la deve cavare.

Privacy Policy Cookie Policy