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Giungle e tamburi. I luoghi di Brecht

Pasquale Bellini

Brucia sempre la città, sia essa Mahagonny o Berlino o Chicago, magari però «allegramente»

La città di Bertolt Brecht ribolle, brucia. Almeno quella delle opere del primo decennio di attività, dal 1920 al ‘30, in cui matura mano mano la definitiva adesione di Bertold poi Bertolt (fu lui a imporre al nome la t finale, più dura e teutonica rispetto alla d della nativa Augusta) adesione, dicevo, al marxismo, non senza dubbi e contraddizioni. La città che rosseggia di incendi e di artiglieria, la Berlino di Tamburi nella notte (del 1919/20) diventa la Chicago di Nella giungla delle città (1921/24), dove la lotta è quella di belve votate alla distruzione reciproca, fino a quella Ascesa e rovina delle città di Mahagonny (1928/29) con le musiche di Kurt Weill, vera parabola poco edificante del sorgere e morire di una città costruita, vissuta e distrutta su fondamenta rigorosamente finanziarie.

Brecht, che all’inizio degli anni ‘20, da un lato scriveva poesie e suonava la chitarra, dall’altro studiava i notiziari di borsa del Börsen-Courier, quanto alla produzione teatrale si mostra incerto tra il superamento delle velleità rivoluzionarie della drammaturgia espressionista, contrario intanto alla frettolosa restaurazione (dopo la guerra) del conformismo borghese, in pratica attratto da personaggi che lottano per amore della lotta, storditi dai loro istinti vitali, mentre nel frattempo la città brucia, le belve fuggono, i cieli rosseggiano. In Tamburi nella notte, il protagonista Andrea Kragel conserva in parte dei connotati espressionisti, è infatti il “reduce” che tornato dalla guerra ritrova mutata e ostile la realtà (familiare, sociale) che aveva lasciato. Ma il contrasto si sviluppa non tanto con il mondo intorno (la fidanzata Anna si accompagna al “pescecane di guerra” Murk, anzi è leggermente incinta) quanto in un conflitto con la realtà ribollente di Berlino: è una notte del gennaio 1919, gli Spartakisti danno l’assalto al “Quartiere dei giornali” tra comunicati dei ribelli, cannonate, incendi e fucilazioni, vedi quella di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Ma i personaggi di Brecht qui trascorrono la notte da un tabarin a un bar con prostitute, fra numerosi bicchieri di kirsch e alcolici vari, mentre rivoluzione e conformismo, individualismo e socialismo si contendono il campo, con l’ eco dei Tamburi nella notte sullo sfondo. Quella che Brecht sviluppa invece Nella giungla delle città, è piuttosto una lotta tutta ferina, animalesca quanto basta, con l’ emergere, siamo a Chicago, di istinti belluini atavici nella guerra privata del commerciante di legname Shlink (un malese!) contro tale George Garga, uno che è “venuto dalla savana nella città”. Vincitore sarà Garga, in una lotta di cui non si comprendono mai gli effettivi motivi, in un testo dove abbondano i riferimenti al Rimbaud di Une saison en enfer.

Ma è certo in Ascesa e rovina della città di Mahagonny che la città diventa protagonista di una distopica parabola, insieme vitalistica e lugubre, con gli istinti vitali del capitalismo (siamo negli Stati Uniti, zona desertica, forse Alabama) che consumano e bruciano, alla lettera, il progetto di una “città ideale” tutta costruita sul principio del profitto, della sacra/esecrabile legge del denaro (Auri sacra fames, aveva detto Virgilio!), con fiamme finali e grottesco Walhalla, quasi citazione e sarcasmo di Brecht/Weill da antica wagneriana Caduta degli Dei. 

Intanto Brecht drammaturgo e teorico del teatro qui affina (lo aveva già fatto nei precedenti Un uomo è un uomo, per non parlare dell’Opera da tre soldi in combutta con Weill) i modi e le pratiche del cosiddetto “teatro epico”, con cartelli a mo’ di didascalie, ammonimenti sotto forma di dialoghi, canzoni ironiche ma meditabonde (la più nota qui è Alabama Song) il tutto rivolto a costringere il pubblico a riflessioni, sogghigni amari, prese di coscienza (forse). Certo niente è rivolto, non qui a Mahagonny, al far annoiare i “cittadini, clienti, avventori, acquirenti”: nel saloon della Vedova Leokadia Begbick il bar è sempre aperto ai “taglialegna del Montana”, con fiumi di birra, whisky e rum, con comodità di ragazze sempre allegre, con sport estremi e anzi con un ring per sfide di pugilato, in alternativa a un tribunale quando si tratta di giudicare il delitto. Il maggior delitto, qui a Mahagonny, è ovviamente la mancanza, ohibò!, di denaro. Si rischia molto, fino alla sedia elettrica. 

Brucia sempre la città, sia essa Mahagonny o Berlino o Chicago, magari però “allegramente”, come spesso in Mahagonny o come ne L’ opera da tre soldi e in tanto altro repertorio brechtiano. Per il Bertolt (con la t!) Brecht in effetti il teatro ha come l’obbligo di “divertire”, cioè spostare l’ attenzione dello spettatore da ciò che è reale a ciò che è necessario, anche se così ideologico, così razionale dietro l’ ironia feroce, urticante sotto l’apparenza convenzionale. La città brucia, ma intanto illumina possibili vie di fuga.

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