L'intervista

L’uomo che ha detto no ai russi

Dorella Cianci

Aslak Nore: l’Artico è nel loro mirino

Siamo davanti a uno degli autori più originali del nostro tempo. Askal Nore è capace di farci vivere le profondità della natura dagli abissi all’Artico, passando per le complessità dell’animo umano e persino dal tornante della geopolitica. L’ambientazione di queste pagine ci riporta ai confini con la Russia: lo scioglimento dei ghiacciai, da queste parti, non è un vero tema ecologico, ma diventa un’occasione per investire in un futuro di passaggi a nord-est, creando una nuova rotta commerciale verso l’Asia. All’uscita del romanzo Gli eredi dell’Artico (in Italia tradotto e pubblicato da Marsilio), i russi hanno chiesto di fare degli interventi sostanziali su quei capitoli, chiedendo di censurarne parti corpose. Nore si è rifiutato. Parliamo, oggi, con lui di questa “febbre” dell’Artico, grazie alla straordinaria occasione che il suo libro ci offre per riflettere sul tema.

Il suo ultimo libro è ambientato alle Svalbard, isole che rappresentano uno scenario adatto alle suggestioni di un romanzo, ma che sono anche un osservatorio unico di geopolitica e cambiamenti climatici. Lei, come è evidente dalle sue pagine, ha un’eccellente capacità di combinare temi storici e fantasy. Che ruolo ha, nella sua scrittura, la geopolitica?  E come “giudica” la corsa alla conquista dell’Artico, da più parti?

«Le Svalbard sono un luogo incredibilmente affascinante. Quella è un’area dove il sole tramonta a novembre e sorge a marzo, dove le armi sono obbligatorie fuori dai centri abitati. È un luogo simile una sorta di “piccolo canarino in una miniera”, dove sia la geopolitica che il cambiamento climatico sono amplificati. Le Svalbard sono norvegesi e, allo stesso tempo, soggette a un trattato giuridicamente complesso, che le rende uno dei pochi posti al mondo – forse l’unico – dove chiunque può stabilirsi, se trova lavoro. Ma torniamo alla domanda: sono sempre stato affascinato dai momenti in cui le nostre piccole vite incontrano le potenti forze della storia. Ecco perché ho voluto ambientare il libro nell’Artico. Quando la tensione tra le grandi potenze è forte e il ghiaccio si scioglie, si aprono nuovi scorci della contemporaneità, nuovi percorsi della storia del nostro tempo e del tempo futuro. A proposito di terra e risorse. Nel romanzo, come sa, parlo della Russian Geographical Company. Sono stati e sono ancora una parte importante delle ambizioni imperialiste della Russia. Non è un caso che siano molto attivi nell’Artico in questi giorni. La geopolitica è tornata prepotentemente sulla scena, se mai fosse scomparsa».

Concorda sul fatto che, guardando i ghiacciai, si possa affermare che il tempo per prendersi cura della Terra stia per scadere, mentre, con scarsa lungimiranza, i governi sono interessati solo alla logica dello sfruttamento delle risorse? La politica internazionale attuale sembra non saper dialogare affatto né con i giovani né con la scienza.

«Beh, non sono un climatologo, ma per quanto ne so, la situazione è allarmante e concordo sul fatto che la politica non sembra essere autenticamente interessata alle generazioni di domani. Il dialogo con la scienza è un tema davvero complesso ed effettivamente non mi pare, a una prima analisi, che si stia pienamente realizzando, nonostante le varie conferenze sul clima. La storia ha dimostrato che considerazioni di profitto, sicurezza nazionale ed espansione tendono a prevalere su considerazioni di natura. È davvero deprimente. Ed è nell’Artico che i cambiamenti sono più marcati e visibili».

Mi permetta una domanda personale: che cosa pensa delle tante guerre in corso nel mondo?

«Ci sono molti modi per affrontare la questione. A livello politico su larga scala, probabilmente il tema dimostra che l’ordine mondiale liberale (e basato sul diritto) stia giungendo al termine. È uno spettacolo triste, soprattutto per chi proviene da un piccolo stato come la Norvegia. Il mondo è diviso in grandi potenze con sfere di interesse. Prevale la legge del più forte. Lei mi dirà che è stato così anche per le civiltà antiche, ma la nostra contemporaneità avrebbe dovuto essere molto più avanzata a livello sociale, pedagogico, economico, tecnologico e di strategie diplomatiche. Non mi pare che questi tempi racchiudano in maniera significativa questi elementi. A livello individuale, inoltre, è ovviamente una tragedia, dall’Ucraina a Gaza. E non possiamo non tener conto di questo alla luce anche della nostra empatia. Ricordiamoci, tuttavia, che anche in guerra – con le scene di orrore di Gaza – la vita quotidiana continua. Le esigenze primarie permangono. I bambini hanno le necessità di tutti i bambini. I malati hanno bisogno delle stesse cure di tutti i malati. È più “normale” di quanto si possa pensare, nel caso -  davvero - si possa definire il concetto di normalità in relazione alla guerra. Ho visto direttamente molto dolore nelle zone di conflitto; ma ho anche visto molta umanità, molta capacità degli esseri umani di darsi una mano nel pieno dell’emergenzialità».

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