le idee
L’era delle passioni tristi. Quella parentesi tra l’essere e il nulla
Forse non aveva davvero ragione Nietzsche: non è detto che dobbiamo uccidere dio per poter ancora desiderare qualcosa!
Fra l’Essere e il Nulla (per dirla con Sartre), c’è il desiderio. Il desiderio, per i greci, si può dire in molti modi, ma c’è un modo più efficace di tutti, come quello scelto da Ariosto, il quale colloca i nostri desideri sulla luna, anzi… Ben oltre le stelle, in quello spazio che i latini avrebbero definito de-sidera. Con questa fantasiosa etimologia, iniziamo un breve viaggio attraverso lo stato comatoso dei desideri. Che c’è di peggio del non realizzare un desiderio se non il fatto di realizzarlo? Siamo tutti un po’ rappresentati da quel signorotto cinese, citato da Roland Barthes, il quale al novantanovesimo giorno di attesa della principessa, seduto su uno scomodo sgabello, decide di andar via a un passo dalla realizzazione di quella speranza d’amore. Può capitare di non realizzare i desideri, non è una tragedia: è un dolore. Ed è un dolore che, spesso, vogliamo vivere. Quel che proprio non si può tollerare è il fatto di muoversi in un orizzonte di senso dove hanno dimora solo le cosiddette «passioni tristi», per citare un famoso saggio. Era il 2003 quando lo psichiatra e filosofo argentino, ma ormai residente in Francia, Miguel Benasayag, scriveva con Gérard Schmit, il libro destinato a diventare un classico, «L’epoca delle passioni tristi», ovvero un’indagine nel nostro tempo, con il suo moltiplicarsi di disturbi psicologici nei giovanissimi.
Torniamo a quel prefisso latino –de, da intendersi grammaticalmente o come un intensivo oppure come, nel nostro caso, un «desiderabile spostamento». Dalla notte dei tempi, spostiamo il traguardo per non cadere nella realizzazione completa dei desideri, che è morte, apatia, disagio. Chi ha ammazzato il desiderio, se non l’idea che questo corrisponda all’appagamento di un impulso? Possiamo provare solo tanta comprensione per i nostri adolescenti! Diciamo che, in loro, c’è sempre meno un desiderio sessuale (o di qualunque altra natura), ma ci dimentichiamo, quasi sempre, di ricordare che se Dante, con un solo click, avesse fatto una videochiamata con Beatrice, la sua volontà di potenza, il suo sfaccettato e poetico «io desiderante» non avrebbe mai compiuto un viaggio lungo tutto l’aldilà e destinato all’eternità. Provocatoriamente Nietzsche scrisse: «Via da Dio e dagli dei mi ha allettato questa volontà; che cosa mi resterebbe da creare se gli dei davvero esistessero?».
Abbiamo messo, ormai da tempo, un piede sulla luna e ci siamo illusi che i desideri debbano essere davvero afferrati, ben oltre le stelle. Abbiamo, però, tralasciato un dettaglio: come la mettiamo con quella sensazione di morte che si ripete a ogni desiderio avverato? In materia di desideri, la volontà deve arrendersi davanti alla ragione o è bene crogiolarsi in quella schiavitù di tensione per pulsioni non pienamente soddisfatte? Ai nostri adolescenti stiamo togliendo questa naturale tensione con la tecnocrazia, con lo smodato consumismo, con una pornografica commercializzazione di ogni cosa. Il non-senso del desiderio non è la disperazione del complesso di Edipo, né l’orizzonte bloccato e senza tempo di Elettra, ma è la tensione di Icaro, il folle volo di Ulisse, l’attesa di Penelope.
Freud, forse, banalizzava eccessivamente la nostra umanità riducendola a comprensione delle pulsioni erotico-sessuali. Siamo tanto di più e quel di più, si trova davanti al precipizio della volontà di potenza, spesso frustrata. Intendiamoci… Nessuno, ormai, nell’orizzonte della nostra contemporaneità, vorrebbe combattere il buon Freud, ma abbiamo bisogno di tornare a guardare ai desideri in maniera poetica, dopo averli fin troppo impregnati di psicanalisi. Che cosa pretendiamo dai nostri quindicenni o ventenni se abbiamo ridimensionato i desideri alla pulsione appagata dell’azione erotica? Non possiamo lamentarci se negli Usa si parla di «sex recession», dove al calo dei sogni e della ricerca della felicità si somma anche il calo del desiderio più intimo della sessualità. Siamo nelle passioni tristi, nelle videochiamate troppo facili, nelle poesie mai lette…
Ci chiediamo, allora, se in questo scenario di passioni grigie, dove il desiderio morente diventa solo voglia di possesso, violenza o guerre, dobbiamo arrenderci alla psicanalizzazione di tutto o se possiamo ancora sognare il volo oltre le stelle o, per dirla con la poetessa Szymborska, possiamo ancora sognare la «fiera dei miracoli». Forse non aveva davvero ragione Nietzsche: non è detto che dobbiamo uccidere dio per poter ancora desiderare qualcosa! Probabilmente abbiamo, al contrario, bisogno di rivolgere gli occhi al cielo e credere ancora in una verticalità salvifica, che ci aiuti tutti ben oltre l’idea della bomba atomica, gli psicofarmaci, l’intelligenza artificiale e gli amori soddisfatti con un click e poi ghostati. A volte, come cantava Bob Dylan, non desideriamo l’appagamento amoroso, ma «soltanto stivali spagnoli di cuoio» per andare incontro, forse un giorno, a chi amiamo.