i libri

L’umorismo batte in ritirata e a vincere sono i meme

Lara Laviola

Parlando di libri, ed escludendo quelli di consumo, quand’è l’ultima volta che avete riso?

In quell’originale testo di critica che è Disumane lettere, Carla Benedetti individuava il distacco ironico dalle cose usato a sproposito come una forza distruttiva che ha l’effetto di creare sfiducia: l’idea che ogni nostro sforzo sia inutile e quindi non resta che riderci su. Un umorismo da ultima spiaggia, insomma. 

Ma, parlando di libri, ed escludendo quelli di consumo, quand’è l’ultima volta che avete riso? Forse leggendo Veronica Raimo che parla della sua famiglia. Io nel 2024 ho registrato un’unica risata ad alta voce, ed è stata con Paradiso di Masneri (la battuta sulla schwa e il sauté di cozze). 

A pensarci oggi l’umorismo sembra scomparso quasi ovunque. Dove si è riversato? Nei meme, che sono ormai lo strumento per commentare qualsiasi cosa succeda, dalle crisi diplomatiche più delicate all’ultima sortita di un VIP nostrano? Quanti meme vediamo ogni giorno, ché vorresti dire: non sarà che dopo il fast food, il fast fashion, il fast qualsiasi cosa, adesso anche l’umorismo è diventato fast?  E visto come è andato il resto potrebbe essere diventato anch’esso scadente e nocivo?

Qualche anno fa l’editore Mattioli 1885 ha pubblicato per la prima volta in Italia Passatempi parigini di Stephen Leacok, scrittore canadese molto popolare nel mondo anglosassone di inizio Novecento. Professore di economia politica, prima a Toronto, poi a Chicago e poi di nuovo in Canada alla McGill, è diventato celebre grazie alle raccolte di racconti umoristici, tra cui: Literary Lapses (titolo bellissimo) e Nonsense Novels. In Passatempi parigini, con brevi quadri di umorismo lento e narrativo, offre una disamina sarcastica di Parigi anni ‘10 che racconta le mode della borghesia, un po’ come amava fare Balzac. Come il grande autore francese sapeva essere un fine rapporteur delle conversazioni da terrazza sorrentiniana, un critico dei costumi e un brillante cavillatore di dettagli e vezzi degni del Dizionario dei luoghi comuni di Flaubert: le abitudini dei turisti americani, le conversazioni con il dentista, la schiavitù della moda e del lusso delle donne e dei bambini di Parigi, fino ai meccanismi dell’editoria nel bellissimo Fare un giornale.

Quando la comicità è narrativa va più lenta ed è capace persino di cogliere delle sfumature di letteratura. Viceversa, nella narrativa letteraria spesso anche solo una sottile vena comica, anche nel tragico, amplifica la sfaccettatura emotiva di una storia ed è la firma della classe di uno scrittore.

Oggi abbiamo dimenticato l’umorismo? Margaret Atwood, in un articolo sul Guardian di apprezzamento ad Alice Munro (entrambe canadesi) scriveva che per una persona cresciuta in Canada tra gli anni ’30 e ’40 non era possibile immaginare di diventare uno scrittore o una scrittrice di fama internazionale. Scordando proprio Leacock, che godette in effetti di una fama internazionale in quegli anni. Per l’esattezza Atwood scrive proprio che «pensare di essere presi sul serio come scrittori era ridicolo». Una scelta di parole interessante.

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