Icaro
Cosa diavolo fanno gli adulti?
Quando le parole “giovani” e “politica” si incontrano nel discorso pubblico o nella chiacchiere di ogni giorno, si sbatte spesso contro un trambusto di narrazioni parziali o propaganda. C’è poco da biasimare gli adulti: giornalisti, filosofi, generali, politici e sindacalisti. È davvero difficile rappresentare un “giovane”, politicamente e letteralmente. Dove inizia la linea della gioventù? È giovane forse un ragazzino delle medie? Una liceale in autogestione? Un universitario in piazza? Uno stagista che porta i caffè? Una startupper? È chiaro allora che quando si prova a parlare di giovani si finisce ad analizzare una popolazione dalla varietà immensa, ritagliabile all’occorrenza dall’oratore per indicare il gruppo di riferimento del suo discorso, che sia una visionaria call to action, una tirata paternalista o un triste resoconto di ciò che li aspetta, ciò che aspetta i giovani. Forse, il vero significato della parola, in Italia, si può rilevare in una modalità d’uso molto vicina a noi meridionali, nella folkloristica interiezione di sovente riservata agli anziani che si sentono mancare di rispetto: “Uè, giovane!”. Un’espressione di autorità, un richiamo alla gerarchia più vecchia di tutte: quella della vecchiaia stessa, un primordiale “nonnismo” che impone l’assoluto controllo dell’attenzione e delle priorità dell’interlocutore sfortunatamente nato più tardi, preparandolo a subire ogni richiesta, divieto o giudizio dopo che quest’ultimo ha (metaforicamente) alzato troppo lo stereo in una festa casalinga.
Allora forse è tutto lì il senso: “giovane” indica quella categoria di persone che è necessario tenere sotto il giogo della potestà dei vecchi, del capitale della loro esperienza, della loro testimonianza e dei ruoli sociali (genitore, maestro, ministro) che la società attribuisce agli adulti, per la salute stessa dell’ordine sociale. Essere giovani non vuol dire nient’altro che essere sotto controllo, soggetto per definizione perché assoggettato, dunque narrato e mai narrante, sempre pronto a essere istruito e “ritagliato”. Solo una volta aver riconosciuto questo, si può analizzare la complessa realtà del presente e in prospettiva il futuro che i giovani si stanno preparando ad affrontare. È ingenuo anche questo grande opinare sulla polarizzazione (e sulla violenza ad essa collegata) o al contrario sul disinteresse giovanile, come non fossero processi fisiologici, in una storia recente che testimonia un distacco delle istituzioni democratiche rappresentative dalle vertenze popolari e lo svuotamento delle ideologie formali che avevano dominato il Novecento, nella moltiplicazione dei particolarismi e dei movimentismi
Tutto questo, in un presente segnato dal tracollo degli equilibri internazionali economici e politici, e dal mare di sangue sullo sfondo di un diritto internazionale, non riesce a proteggere più nessuno. Così ogni forza politica che agisce sotto l’assetto democratico si deve munire di una narrazione coinvolgente per il pubblico che più bisogna tenere sotto controllo, perché prossimo o appena atterrato sul campo di battaglia che è la vita pubblica odierna. È fisiologico dunque, in un momento di crisi mondiale a più livelli, che ogni forza politica sia in fermento per offrire la propria rappresentanza politica ai giovani, per munirli delle proprie casacche e distinguerli dai loro coetanei, che si deformano in nemici reazionari, o pericoli bolscevichi, ed equipaggiarli delle loro armi retoriche e delle loro procedure di azione politica. Ad accomunare noi giovani però, raccogliendo le fazioni schierate così come la grande maggioranza sciolta, intrappolata nell’edonismo o nella disattenzione, resta quello strisciante senso di impotenza, quella dolorosa presa di coscienza del fatto che possiamo sì salvare qualcosa da soli, ma che non ci è concessa vera autonomia nel cambiare il mondo una volta per tutte. Tutto questo ci lascia con l’unica opzione, quella di prendere tutti i megafoni disponibili per gridare l’ultima domanda: “Cosa diavolo stanno facendo gli adulti?”. Mentre il vecchio mondo muore, quello nuovo tarda a comparire e, in questo chiaroscuro, nasciamo noi.