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Dall’Unione alla disillusione
Partiamo da alcuni dati per ragionare con questi ragazzi. L’Eurobarometro, pubblicato a metà febbraio 2025, ha offerto uno spaccato su che cosa si aspettano i giovani dall’Unione Europea...
Emily ha 21 anni, ascolta Travis Scott e legge Hannah Arendt, parla un ottimo inglese e mi dice: «Stanno sfasciando l’Europa, stiamo regredendo». Chi la sta sfasciando? Parigi non è la Francia intera, ma i suoi ragazzi, i suoi studenti universitari, ancor tanto sensibili alle manifestazioni di piazza, ad esempio in nome della tutela ambientale, sono un buono spunto per riflettere su questa Europa, sulle sue illusioni e sulle, non poche, disillusioni. Ho incontrato Jaques Durand, Alima Zem, Pierre Morel, Gustave Marchand, Emily Waillant. Che cosa accomuna questi 5 ragazzi, provenienti dalla periferia nord di Parigi, a tratti insicura, ma anche da quel sud così chic e benestante? Che cosa accomuna parigini di nascita a una ragazza, nata a Ruen e figlia di genitori marocchini, di religione islamica? Il punto in comune è la loro università, la facoltà di Filosofia e, soprattutto, un’idea di futuro: l’Europa della guerra non è la nostra.
Partiamo da alcuni dati per ragionare con questi ragazzi. L’Eurobarometro, pubblicato a metà febbraio 2025, ha offerto uno spaccato su che cosa si aspettano i giovani dall’Unione Europea nei prossimi anni e come vivono il loro rapporto con la politica. Emergono tre concetti fondamentali: diritti, democrazia e libertà. Al primo posto troviamo la protezione dei diritti umani e della pace (45%), seguita dalla libertà di espressione e di pensiero (41%). Valori come la dignità umana (28%), il rispetto per la diversità (27%) e l’uguaglianza di genere (26%) emergono con forza, segnalando una generazione attenta ai diritti.
Chiediamo loro, mentre hanno in mano, per la lezione, un bellissimo testo di Isaiah Berlin, Un messaggio al Ventunesimo secolo (lo riporto in trad. italiana): «Che messaggio avete per il vostro secolo da questo punto d’Europa così strategico, che ha combattuto, anche con la violenza, per la libertà e per i diritti?» Hanno risposte diverse. Pierre dice: «L’Europa che questi giorni mette insieme i cosiddetti “volenterosi” del “Paris Defence Strategy Forum” non è l’Europa che vogliamo, poiché non ha un vero progetto diplomatico. Il nostro progetto, invece, dovrebbe esser racchiuso in un’idea di politica, che ci permetta di avere opportunità sicure, prive di ostacoli burocratici, che ci permetta di viaggiare, anche per studio, in sicurezza. Che idea è quella di correre al riarmo, quando ci sono ancora tante difficoltà in tema di lavoro, pensioni e welfare? In greco “archein” è l’inizio della forma di governo, che vuol significare “iniziare a essere liberi e organizzati”. Non abbiamo forse ancora ben chiara quest’idea che studiamo a scuola e in università se abbiamo bisogno del “piano ReArm”! I nostri nonni sanno bene che la sciagura della politica, nel ventesimo secolo, sono stati i regimi totalitari, che hanno portato all’estinzione della libertà: com’è possibile che alcuni, fra noi francesi, si sentano tutelati da chi esaspera l’identità nazionale? Ma al tempo stesso, pur volendo voltare la testa rispetto ai populismi, non ci sentiamo rappresentati neanche da chi sostiene di avere a cuore il progresso e la libertà dell’Europa, ma pensa che questa si raggiunga mostrando la forza».
E Jaques: «L’Europa non può dialogare con gli stessi toni di Trump o di Putin. Noi dovremmo essere l’alternativa e dovremmo rappresentare quest’alternativa anche con un vocabolario diverso. A me pare che, in questo frangente della storia, ci sia l’esigenza di inventarsi possibili nemici futuri per ingrassare l’industria delle armi, a danno della nostra generazione e del nostro pianeta».
Aggiunge Alima: «Sono francese a tutti gli effetti, ma mia madre porta il velo. Per me l’Europa è quel sogno di progresso accanto alla tolleranza, al rispetto delle diversità (tutte). Non sento quest’aria in giro. Di recente son stata in Belgio per motivi familiari, con mia madre. Ho sentito puzza di insofferenza verso quel velo. Stiamo regredendo. Più che correre al riarmo, bisognerebbe pensare come mai il nostro continente fa dei passi indietro in termini di rispetto dell’altro.