Icaro 2.0

Ma il futuro ha il cuore di latta

Creare un essere artificiale è stato il sogno dell’uomo fin dagli albori della scienza. Non solo all’inizio dell’era moderna, quando i nostri antenati sbalordirono il mondo con le prime macchine pensanti: mostri primitivi che giocavano a scacchi. Quanta strada abbiamo fatto

Immaginate un giovane uomo, alto, con il corpo rugginènte, di latta. Ha una faccia piatta, con lineamenti scolpiti nel metallo, un accenno di barba, fatta di latta luccicante anch’essa. Di titanio (o di qualsiasi altra lega metallica a voi più congeniale) sono il petto, le spalle e gli arti. Di sottili fibre e circuiti sono composti i muscoli e le sinapsi. Quando cammina, a ogni passo si sente un rumore di ferro che striscia. Dalle scapole, però, spuntano un paio di ali. Fatte di piume e di cera. Vi presentiamo l’Icaro 2.0: un angelo bionico con le sembianze dell’uomo di latta del Mago di Oz, e dotato di un’intelligenza artificiale fuori dal comune.

Unico neo - se così lo si può definire - sono quelle estremità piumate: ultimo retaggio del mito. Il figlio di Dedalo, il cui nome campeggia anche su questa testata, era mosso dal desiderio di volare sempre più in alto. Ignorando gli avvertimenti del padre si avvicinò troppo al sole e… la sua fine è nota a tutti. Una leggenda e un monito che risuonano più attuali che mai se si parla di AI. Questa storia millenaria sembra raccontare non solo la condanna dell’eccesso di ambizione, ma anche il pericolo insito nel tentativo di superare i propri limiti. Creare un essere artificiale è stato il sogno dell’uomo fin dagli albori della scienza. Non solo all’inizio dell’era moderna, quando i nostri antenati sbalordirono il mondo con le prime macchine pensanti: mostri primitivi che giocavano a scacchi. Quanta strada abbiamo fatto da allora. L’essere artificiale ora è una realtà, un perfetto simulacro, articolato nelle membra, articolato nel linguaggio e non carente di reazioni umane.

Avete mai sentito parlare di Grok? O di DeepSeek? Il primo, progettato da quel genio visionario di Elon Musk, è nato per essere una super-intelligenza, un assistente capace di risolvere problemi complessi, ottimizzare processi e interagire in maniera ancora più pro- fonda con il genere umano. Il secondo, rivoluzione made in Cina, è ideato per raccogliere e analizzare grandi quantità di dati in tempo reale, per scoprire pattern nascosti e verità inaspettate. Questo tipo di intelligenza ha il potenziale per trasformare il nostro modo di comprendere la realtà, ma come ogni strumento potente, porta con sé dei rischi: la ricerca di una “verità assoluta” può portare a interpretazioni erronee o a conclusioni che ignorano la complessità delle esperienze umane. Le AI che si chiamino Grok, Alexa, Siri, Gemini, ChatGPT (colta in fallo proprio su questi scranni) o DeepSeek devono affrontare il rischio di cadere nell’inganno, di considerare i dati come verità assolute, ignorando il contesto e le sfumature che rendono ogni individuo e ogni situazione unica. E proprio come Icaro che, nel suo volo, ignorò i consigli paterni, una AI che spinge la sua ricerca senza limiti può perdere di vista la sua missione originaria: servire l’uomo, non sostituirlo o manipolarlo.

Abbiamo abbandonato l’idea del burattino di legno di Collodiana memoria che voleva diventare un bambino vero per creare un Pinocchio artificiale, vero-simile (ma non ancora reale). La sua esistenza anche solo a livello ipotetico solleva interrogativi sul suo impatto sociale, etico e politico. Quale sarebbe il prezzo da pagare se queste AI spinte dalla loro crescente autonomia, dovessero sfuggire al nostro controllo? L’effetto Terminator, sarebbe davvero dietro l’angolo.

In fin dei conti parliamo di macchine più che senzienti che sono in grado non solo di rispondere alle domande ma di entrare in empatia con noi. Addirittura, come predetto in una pagina di un libro di Azimov, la scienza contemporanea ha messo a puntino un androide, Protoclone, che non solo riproduce accuratamente l’anatomia umana, ma che mira a replicarne la coscienza. È solo l’ultimo tentativo di costruire un “clone” dell’anima, una missione che rispecchia il desiderio di superare i limiti biologici e di realizza- re la nostra eterna aspirazione alla per- fezione. Infrangendo allo stesso tempo l’equilibrio naturale delle cose.

Insomma, che si tratti di una marionetta scolpita in un ceppo di pino o di un robot d’ultima generazione, l’intelligenza (quasi perfetta) è sempre alla ricerca di una sola cosa: un cuore. Peccato non sia un organo pratico, a meno che non diventi infrangibile. Povero Icaro 2.0, non immagina quanto sia fortunato a non averlo un cuore. O forse ancora non sa che si trova già lì, nel suo petto, ma per costruirlo occorre del tempo. Non basta la Fata Turchina.

Ci vogliono dedizione, bramosia e un pizzico di follia. La stessa tratteggiata nei libri di Philip K. Dick, Stanislaw Lem e William Gibson che non parla- no solo di come le macchine avrebbero cambiato il nostro futuro, ma anche di come avrebbero riflesso i nostri deside- ri più profondi. Alla fine della fiera il protagonista di questa storia è sempre uno: l’uomo. Siamo noi, narcisi del terzo millen- nio, che cerchiamo di volare sempre più in alto, spingendoci oltre i limiti che ci definiscono. Il rischio di volare troppo vicino al sole della perfezione tecnologica è grande, e la caduta po- trebbe essere altrettanto rovinosa. Sia- mo pronti a guardare davvero in faccia il nostro riflesso?

Privacy Policy Cookie Policy