Il profilo

Rosanna Gaeta, «La cultura è donna»

Fulvio Colucci

Non è un caso che Nando Dalla Chiesa l’annoveri tra le donne che fanno più bella l’Italia nel romanzo «I fiori dell’oleandro»

Non è un caso che Nando Dalla Chiesa l’annoveri tra le donne che fanno più bella l’Italia nel romanzo «I fiori dell’oleandro». Perché Rosanna Gaeta, direttrice artistica dei Dialoghi di Trani, il festival culturale nato 23 anni fa dalla sua coraggiosa intuizione, il Paese l’ha reso davvero più bello partendo da un gesto di sfida adolescenziale: regalare libri alle detenute del carcere di Trani. «Mio padre – racconta Gaeta – era il direttore del penitenziario ospitato nell’ex convento di San Domenico. Dalle finestre osservavo le donne recluse passeggiare durante l’ora d’aria».

Così decise di agire.

«Scendevo nel cortile, la guardia mi apriva la pesante porta in ferro con lo spioncino. Mi avvicinavo e parlavo quasi sottovoce. Alcune avevano i figli con loro. Decisi di donare libri. E le detenute ricambiavano con i lavori a maglia. Una di loro mi inviò una lettera in cui diceva: grazie a te sto cominciando a scrivere».

Sembra di vederla, nella versione meridiana della Marie quieta e risoluta raccontata da George Simenon. Un romanzo al quale è legatissima.

«L’associazione madre dei Dialoghi si chiama “La Maria del porto”. Non a caso. Un libraio amico di Roberto Calasso mi suggerì il nome mentre aprivo la libreria. Di fronte c’è un’edicola votiva con una Madonna. Quando ho deciso di creare un contenitore culturale, nella città deserta degli anni ‘80, ho fatto i conti con la criminalità organizzata. Oggi la biblioteca Bovio è diretta da Daniela Pellegrino, una donna. Anche questo non è casuale».

La sua sfida mantiene nel tempo traiettorie precise. I Dialoghi hanno un direttivo tutto al femminile. Ad Algeri, grazie alla direttrice dell’Istituto italiano di cultura, Antonia Grande, la manifestazione di Trani è arrivata al grande pubblico di un Paese attore fondamentale sulla scena del mondo islamico.

«Internazionalizzare i Dialoghi è la nuova fase della sfida. Leggiamo la cultura con lenti femminili perché son quelle che rivelano dettagli nascosti. Non dimenticherò le donne che hanno affollato il nostro stand ad Algeri, seguendo gli eventi. Ci hanno regalato la loro preziosa attenzione, un guizzo visibile persino attraverso il burka. È stato uno scambio reciproco. Nei loro occhi si leggeva una luce, guardavano l’orizzonte più ampio che offrivamo costruendo ponti fra culture del Mediterraneo. Nel mondo islamico tante donne credono alla cultura come strumento di emancipazione. In tante, come La Marie del porto di Simenon, non sono più disposte a recitare il ruolo di comparse sulla scena della storia».

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