verba volant

Cinema e libri, un declino figlio dei tempi

michele mirabella

La sala parabolica delle immagini fantastiche riflesse sullo schermo, mi attraeva meno degli spazi aperti. Ma...

Non ho memoria della mia prima volta al cinema, né del primo film che ho visto. Confesso che la sala
parabolica delle immagini fantastiche riflesse sullo schermo, mi attraeva meno degli spazi aperti. Ma
quando calava sulla città la bonaccia caldo umida dell’estate o sferzava il maestrale o il vento di
tramontana d’inverno, dove rifugiarsi se non al cinema? Non solo, ma ci fu tra i gestori astuti, qualcuno che proponeva le matinée per quelli che marinavano la scuola. Qualcuno diventò cinefilo di rispetto.
Delle infinite sigarette che avrebbero brillato nel buio, la prima che lo spettatore solitario accendeva nelle ultime file, a luci ancora accese in attesa del primo spettacolo, era il segnale del rito iniziatico che andava a incominciare per noi spettatori. Eravamo inconsapevoli officianti i riti degli dei della 20 Century Fox, della Warner Bros, della Metro Goldwin Mayer. Ricordo uno stralcio di conversazione tra due ragazzi nella fila davanti alla mia: “Però conviene andare al cinema, paghi 100 lire e puoi restare tutta la giornata”. Il film era ‘Ben Hur’ (chi non l’ha visto scagli la prima pietra) che consacrava un genere già declinante, preceduto da altri fulgidi “peplum” americani infarciti da una sacralità biblica primordiale: ‘Sansone e Dalila’, ‘I 10 Comandamenti’, ‘La Tunica’, ‘I Gladiatori’, ‘Barabba’ e seguito da ‘Spartacus’ o ‘La caduta dell’Impero Romano’, già film d’autore e prima dell’avvento dei “peplum” italiani con gli eroi palestrati, le chiome luccicanti di brillantina, poco credibili nei panni di Ercole, Maciste, e persino Sansone. Il leggendario regista Cecil B. De Mille, grande imprenditore e uomo di spettacolo che deve la sua fama ai kolossal storico-biblico-religiosi, commentando la sua ultima opera, ‘I dieci Comandamenti’ (1956), affermava che la sacra Bibbia, a distanza di secoli, o meglio di millenni, aveva operato il vero miracolo, permettendo a due generazioni di sceneggiatori di trarre ispirazione per innumerevoli storie antiche secondo la magica formula “Sangue sesso e Bibbia”, per di più senza pagare alcun diritto d’autore.

Poi vennero gli “Eroi della Hollywood sul Tevere” per un pubblico di bocca buona che si infischiava della
verità storica. Il prezzo da pagare per accedere ai film importanti era il “sovrapprezzo” del biglietto.
Scavalcando alcuni secoli, il medievale ‘Ivanhoe’ o il tardo settecentesco ‘Scaramouche’ valevano il
sovrapprezzo di 150 lire, ma ne valeva la pena. In verità, che fosse il gladio romano o lo spadone
medievale o il fioretto settecentesco, contava poco.
Dal mar dei Caraibi al Pacifico, dai pirati della Filibusta (Capitan Blood) alle truppe regolari britanniche
contro gli infidi francesi o dai francesi contro i crudeli britannici, tutto era ben accetto purché ci fosse
l’avventura, sotto qualsiasi latitudine. Peplum, “cappa e spada”, intrighi di corte, armature, castelli, assedi, duelli, “Ronin Hood e i compagni della foresta”: generi ormai obsoleti soppiantati da ineffabili altri: “thrilling”, “horror”, “fantasy” ... e il sangue scorre a fiumi come, prima, il vino.

Ma perché muore un genere? Le risposte sono molteplici ma nessuna è semplice. Sociologi, opinionisti,
critici di varie ideologie, parroci si sono variamente espressi. Da parte nostra, instancabili spettatori,
pensiamo che il declino dei generi cinematografici sia il prodotto, tra altre e più grosse sciagure, di una
deriva culturale iniziata ben prima del XXI secolo, il cui primo, allarmante segnale è il declino della lingua e con esso della letteratura. Provate a proporre ai vostri ragazzi la lettura de ‘L’isola del tesoro’ di Stevenson o un libro di Stephen King. Sceglieranno King nel migliore dei casi, che, per fortuna, è un ottimo scrittore. Ma dove sono finiti i Jules Verne di ‘20.000 leghe sotto i mari’, i Raphael Sabatini di ‘Capitan Blood’ e ‘Scaramouche’ o i Walter Scott di ‘Ivanhoe’ o i Dumas de ‘I tre moschettieri’? E la fulgida stagione del visionario Emilio Salgari che scorrazzava insieme a Sandokan nella giungla della Malesia non muovendosi dallo scrittoio della sua casa, è definitivamente conclusa? Di certo non vedremo più una piccola folla alla biglietteria del sontuoso cinema Galleria, oggi, mi dicono, sezionato in una multisala, in fila per vedere ‘I Vichinghi’, ‘I Bucanieri’, o del Marilon, saletta marginale ma accogliente dove un anonimo spettatore entrando salutava tutti, suoi fratelli d’avventura e di Cinema.

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