Il supplemento

Icaro e il focus sulla corsa alla Casa Bianca: «Una fuga per la vittoria»

Fulvio Colucci

In edicola e nella nostra digital edition Icaro ha interrogato alcuni opinionisti, sollecitando riflessioni sulla base della loro esperienza internazionale

LO SGUARDO DI ULISSE - «Scrivo questa nota dall’Holiday Inn di La Crosse. La Crosse è una cittadina del Wisconsin. Sono le tredici ora locale; la sala del ristorante è affollata: c’è un gruppetto di vecchie signore che chiacchierano e ridono, ci sono dei camionisti, dei commessi viaggiatori. La cameriera dai capelli rossi torna correndo dalla cucina e strilla: «Hanno colpito Kennedy».

Sono le prime righe della corrispondenza inviata da Enzo Biagi alla Stampa di Torino il 22 novembre del 1963, il giorno dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti. Un “attacco” da mandare a memoria nelle scuole di giornalismo per la prosa asciutta e ugualmente poetica, come un verso di Bukowski popolato di cameriere dai capelli rossi, motel e vecchi che giocano a dama negli assolati parchi delle metropoli. Il Wisconsin è uno dei cosiddetti swing states, gli stati in bilico, dove i due candidati - Donald Trump per i Repubblicani e Kamala Harris per i Democratici - si contendono una manciata di voti decisivi per vincere le elezioni presidenziali Usa del 5 novembre.

Fino a pochi anni fa, il Wisconsin lo ricordavamo come lo stato della città di Milwaukee, “set” del più popolare telefilm americano in Italia, a cavallo fra gli anni ’70 e ’80: Happy days. Nel tempo, con l’incalzare della crisi globale, la tuta di Fonzie (ricordate il bullo buono interpretato da Henry Winkler? Lavorava come meccanico) si è scolorita fino a perdere il suo carattere di bandiera identitaria della classe operaia bianca, spappolata dal mercato e dalle delocalizzazioni delle aziende. Sapevate che a Milwaukee, dove si concentra la produzione della gloriosa Harley Davidson, di recente sono scoppiate proteste dopo la notizia del trasferimento di alcune linee produttive in Thailandia? «Una pugnalata al cuore», l’hanno definita i lavoratori.

Occupazione, inflazione, immigrazione, guerre, ordine sociale. La classe media e gli operai, le minoranze e i «muri». Sono i temi che peseranno sulla scelta del quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti: una sfida esistenziale per una democrazia in profonda crisi d’identità. Icaro ha interrogato alcuni opinionisti, sollecitando riflessioni sulla base della loro esperienza internazionale: «leggere» le vicende americane, alla vigilia delle elezioni presidenziali, era necessario.

Allo stesso tempo, abbiamo scelto di ricordare, dal cinema al teatro, dalla musica all’arte, quanto gli Stati Uniti vivano da sempre il rapporto tra politica, cultura e spettacoli, come un’eterna associazione di idee. Dalla rossa cameriera del motel di La Crosse, gli Stati Uniti saranno pure cambiati, ma il nodo della violenza, e della violenza nella politica in particolare, resta lì come interrogativo angoscioso. Mai come in questo momento l’America ci fa paura, sembra così lontana e la guardiamo, come Lucio Dalla, affacciarsi «dall’altra parte della Luna». Ma il suo destino è il nostro, ci piaccia o no.

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