A Bari
Neonata morì per lite tra medici L'Asl risarcisce 440mila euro
Il caso della sala operatoria contesa avvenne un anno fa. I medici sotto inchiesta penale e sottoposti a procedimento disciplinare
La Asl ha dovuto mettere una pietra sopra a quello scandalo finito sulle reti nazionali in piena estate: un assegno di 440mila euro di risarcimento stragiudiziale ai coniugi Visaggio di Corato, per la morte della loro figlioletta, vittima di un «litigio» tra due medici che si contendevano la sala operatoria. I fatti, denunciati dalla Gazzetta il 18 aprile scorso, vedono sotto accusa otto medici del Di Venere, sottoposti a indagine penale e a procedimento disciplinare le cui risultanze dovrebbero essere formalizzate nei prossimi giorni. Per ora, come conferma il direttore generale dell’Asl, Vito Montanaro, la Asl ha pagato: se potrà (o dovrà) eventualmente rivalersi sui medici, questo si vedrà. Nel frattempo ha pagato Pantalone.
Una brutta storia, che certamente nessuna cifra in denaro potrà cancellare, nella mente di due giovani genitori, la cui denuncia è rimasta nel vuoto per circa un anno fino a quando un articolo di giornale e i risultati di un accertamento medico legale hanno fatto emergere una drammatica realtà. Una vicenda che ha irritato il Governatore della Puglia, Michele Emiliano, il quale ha personalmente rappresentato tutta la sua vicinanza ai familiari della piccola venuto a conoscenza dei fatti.
Qualcosa che si sarebbe potuto evitare, come hanno annotato i carabinieri del Nas e come emerso dalla perizia medico legale: la piccola che nacque, purtroppo morta, nell’ospedale Di Venere, pagò un’ora e mezzo di ritardo aspettando una sala operatoria che rimase vuoto per tutto il tempo perché un medico ne rivendicava l’uso per un caso (appendicite) che probabilmente non era così tanto urgente da essere sorpassato da un parto cesareo classificato (quello sì) urgente.
Marta Brandi, il 30 aprile di un anno fa - alla 41esima settimana di gravidanza - venne ricoverata al Di Venere con l'aspettativa di affrontare un parto normale. Una gravidanza, fino a quel momento, portata avanti senza problemi. Poi i problema: la donna entrò la sera in sala travaglio e, la mattina dopo, iniziò a registrarsi una lieve sofferenza fetale che si aggravò dopo la somministrazione di ossitocina, il farmaco per stimolare il parto. Quindi, la decisione di intervenire con un cesareo «urgente».
La donna fu trasportata nel blocco operatorio per essere preparata, ma qui sorse un inghippo: la sala utilizzata dall'Ostetricia era impegnata per due cesarei programmati, quindi fu necessario ripiegare sull'altra sala operatoria, quella della Chirurgia generale.
E qui scoppiò il caso: il primario di chirurgia sostenne che sta per arrivare un paziente con un'appendicite. A chi dare la precedenza? L'unico anestesista disponibile suggerì di procedere con il cesareo, ma - come scriverà in una relazione - venne «dissuaso dalle rimostranze dei chirurghi che in maniera perentoria e ad alta voce, asserivano che nella sala di chirurgia generale potevano operare soltanto loro». «Nessuno mi ha riferito dell'estrema gravità dell'intervento ed urgenza dell'intervento ostetrico» preciserà a sua volta il chirurgo, al suo primo giorno di Direzione. Sta di fatto che la paziente con l'appendicite arrivò in sala operatoria tre ore dopo, alle 14 mentre Marta Brandi fu operata un’ora dopo in una’altra sala resasi disponibile: ma fu troppo tardi perchè la piccola nacque morta. [n. pepe]