L'11 inaugurazione a Putignano

Senza la «Casa di Farinella» il museo diventa diffuso

di Giacomo Annibaldis

«Ti devi mettere una maschera in faccia!». È un’espressione popolare ripetuta dai nostri vecchi, ogniqualvolta volessero dire a qualcuno: vergognati! Non so se questo specifico significato della «maschera» come elemento di riprovazione sociale (indossarla per ricoprire le brutture di un volto) venga preso in considerazione dagli antropologi che studiano il Carnevale. Probabilmente l’espressione rientra nel più generale uso del celarsi, consentito appunto dall’atto di mascherarsi.

Ma il monito mi è venuto in mente lo scorso anno quando si seppe che, con un colpo di spugna, a Putignano veniva «cancellato» il museo del Carnevale sito nell’ex convento dei carmelitani, che ormai veniva chiamato «Casa di Farinella»: l’amministrazione comunale aveva un bisogno impellente di quei locali... Proprio in quel periodo si stava tenendo, sempre a Putignano, un convegno su «Maschera e linguaggi», i cui atti ora è possibile leggere nel recente volume, intitolato appunto Maschera e linguaggi, curato da Pietro Sisto e Pietro Totaro (edito da Progedit, pp. XVI-334, euro 30).

Dal 2009 infatti, con scadenza biennale, questi seminari, organizzati dal «Centro internazionale di ricerca e studi su Carnevale, Maschera e Satira», chiamano a raccolta antropologi, etnologi, studiosi di tradizioni folkloriche e di teatro, di religione e di filologia, nonché di archeologia e arte…, con l’intento specifico di dare fondamento scientifico e stabilità a quello che è considerato «il più antico carnevale del mondo». Vale a dire, un tentativo di rafforzare la «reinvenzione dell’identità culturale» che la cittadina pugliese ha voluto perseguire con la celebrazione del suo Carnevale. Una iniziativa culturale, dunque, affinché la celebrazione rituale non si riducesse semplicemente a una reiterazione di tradizioni, ma fosse supportata anche da una riflessione e da un confronto con altre realtà.

D’altronde, a perseguire questo intento serviva anche il formarsi, e l’accrescersi anno dopo anno, di un deposito documentario che funzionasse da memoria storica: il museo della «Casa di Farinella», appunto, che costituiva un unicum in Puglia e forse in tutto il Meridione d’Italia. In questa sede Pietro Sisto, italianista dell’Università di Bari, aveva raccolto negli anni la versatile e differenziata collezione (cui si erano aggiunte le cartapeste i Armando Genco, donate dagli eredi). La sua cancellazione (seguita a opachi tentativi di dilazione o di temporaneo scerbamento dei materiali esposti) ha generato uno strascico di polemiche. Non solo da parte dei cittadini (quante scolaresche hanno visitato quel museo, collocandolo nella storia del loro paese), ma anche da parte di studiosi, antropologi, etnologi e antichisti che hanno inteso protestare contro la perdita «scientifica» di uno strumento così interessante e ricco.

Di alcuni di questo studiosi, di livello internazionale, appaiono ora i contributi nel volume Maschera e linguaggi, sotto l’egida di una copertina che presenta tre mascherine da cui si sciorinano linguacce di Menelik caustiche come peperoncini rossi (disegno di N. Genco): e sono, tra gli altri, Luigi Lombardi Satriani ed Eugenio Imbriani, Douglas Olson e Bernard Zimmermann, Raffaele Nigro e Ignazio Buttitta…

Ma, siccome il carnevale – come sosteneva Goethe – «non è una festa che si offre al popolo, ma una festa che il popolo offre a se stesso», e vale a dire che non bisogna aspettarsi che il potere di turno si appropri dell’iniziativa, quel museo del Carnevale è morto l’anno scorso, e resuscita quest’anno. Perché, se Farinella, la maschera di Putignano ideata da Mimmo Castellano, non ha più una sede per raccontarsi, allora ha trovato la soluzione di farsi «in otto»: l’11 febbraio, infatti, riapre le porte del suo «museo diffuso» (alle 18, in Corso Garibaldi 42), distribuito cioè in più sedi, ognuna con indicazione tematica.

Farinella ora se la ride (è d’altronde del Carnevale farsi beffe dei governanti!), perché ha trovato dove fare piroette: dove mostrare i tipici copricapi con corna bovine da esibire il giovedì grasso «dei cornuti»; o dove far risuonare strumenti come la cupa-cupa o lo scitte-faiasse o il triccaballac; o dove mostrare le opere degli anni ’60 e ’70 di Genco, il più noto cartapestaio di Putignano; o dove esprimere il suo amarcord con i volti popolari della festa putignanese, come il Baresìdd, insieme alle foto d’epoca sulle Propaggini o sulle sfilate dei carri allegorici…

Il museo è morto, viva il museo. Il Carnevale torna sull’«ottovolante», con uno sberleffo, mostrando le sue piccanti lingue rosse come spirali di Menelik.

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