Dalla madre di Elisa accuse alla Chiesa

di Massimo Brancati

POTENZA - Negò di conoscere la vicenda di Elisa. E arrivò perfino a «nascondere» alla sorella che quel ragazzo che la seguiva, che la tormentava era Danilo Restivo. Dal calderone dei misteri che ruotano attorno alla vicenda di Elisa Claps - la studentessa potentina uccisa il 12 settembre ‘93, il cui cadavere è stato ufficialmente trovato nel sottotetto della chiesa della Trinità il 17 marzo 2010 - spunta il nome di don Pierluigi Vignola, oggi cappellano della Polizia. Disse agli investigatori che nei giorni a ridosso della scomparsa di Elisa lui era all’oscuro di quanto accaduto. E smentì anche di essere stato il primo sacerdote a celebrare messa - subito dopo la partenza di don Mimì Sabia, storico parroco - nella chiesa che 18 anni dopo avrebbe restituito i poveri resti della ragazza. Dalle sue dichiarazioni agli inquirenti e dai riscontri delle indagini emergono tante contraddizioni. Don Vignola non poteva non sapere. E non solo perché la città era tappezzata di manifesti con il volto di Elisa e il messaggio disperato della famiglia Claps. Come riportato nei giorni scorsi dalla «Gazzetta» - e ripreso ieri sera durante la trasmissione di Raitre «Chi l’ha visto?», condotta da Federica Sciarelli - il sacerdote viene chiamato in causa da un ex agente segreto in un’informativa del 1997 sul caso Claps. Nel dossier si parla chiaramente di omicidio e si indica in Restivo il possibile assassino. Lo stesso ex 007 evidenzia che la sua principale fonte era proprio don Vignola. Che, quindi, sapeva benissimo cosa fosse successo il 12 settembre del ‘93. Perché ha negato? Perché ha deciso di mantenere quel segreto anche a costo di nascondere alla sorella che quel ragazzo «appiccicoso» che la insidiava era l’assassino di Elisa?

A rendere ancora più nebuloso il profilo di don Vignola ci pensano le intercettazioni della Dia (l’antimafia) di Salerno. Il suo telefono, nel 2010, è stato messo sotto controllo, così come quelli di mons. Agostino Superbo, vescovo di Potenza, don Wagno, vice parroco della Trinità, ed Eliana De Cillis, storica amica di Elisa.

Gli investigatori segnalano alla Procura di Salerno contatti di don Vignola con personaggi «appartenenti alla massoneria italiana» o comunque «legati ad ambienti massonici». Lo stesso sacerdote, come riporta una segnalazione del 2010 della Squadra mobile di Benevento, risulta deferito per violazione della legge Anselmi, quella che vieta la costituzione di società segrete.

La Chiesa lucana - uscita con le ossa rotte dal caso Claps al punto di vedersi rigettare la richiesta di costituzione di parte civile nel processo a carico di Restivo - continua così a prendere colpi che minano ulteriormente la sua credibilità. Filomena Iemma, madre di Elisa, è convinta che Danilo sia stato aiutato a occultare il corpo e che abbia goduto di coperture soprattutto negli ambienti clericali. Lo ha ribadito ieri durante «Chi l’ha visto?». Ha lanciato altre accuse, chiamando in causa tutti i sacerdoti che, in un modo o nell’altro, hanno avuto a che fare con la chiesa della Trinità, la «tomba» di Elisa: da don Mimì Sabia, storico parroco della chiesa (nel frattempo è morto) a mons. Agostino Superbo, vescovo di Potenza, e a don Wagno che avrebbe visto il corpo della ragazza prima della scoperta ufficiale del 17 marzo 2010.

Secondo quanto raccontato alla Polizia dal vescovo, il prete brasiliano gli avrebbe telefonato per informarlo del ritrovamento, ma il «cranio» di cui parlò durante quella conversazione divenne «ucraino» in un colloquio disturbato dalla linea e dall’italiano raffazzonato del sacerdote carioca. Versione che non ha mai convinto né gli investigatori né la famiglia Claps.

La sete di giustizia di mamma Filomena non si è placata con la condanna a 30 anni di Restivo («da sempre sapevo che era l’assassino», dice). Vuole andare fino in fondo. E scovare complicità e connivenze che, a suo dire, risiedono anche nella magistratura che indagò nei giorni a ridosso della scomparsa di Elisa. Il riferimento va all’allora Pm Felicia Genovese, accusata di non aver fatto sequestrare i vestiti sporchi di sangue di Restivo. E mentre punta di nuovo il dito contro l’ex Pubblico ministero, «Chi l’ha visto?» rivela che tra gli oggetti sequestrati a Maurizio Restivo, padre di Danilo, c’è anche un bigliettino con il nome e il numero telefonico di Genovese.
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