SANITà
Mobilità passiva, in Puglia è costata 87 milioni di euro
Nel 2021 in duemila sono ricorsi ai viaggi della speranza. Palese: in calo
BARI - I «viaggi della speranza» dalla Puglia per curarsi in una struttura ospedaliera situata in un’altra regione italiana, lo scorso 2021 sono costati alle casse della sanità pugliese quasi 87 milioni di euro. È quanto emerge dal report sulla mobilità sanitaria presentato dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) i cui dati possono essere specchio di servizi non appropriati o carenti in alcune regioni ma, anche, per altre regioni possono esprimere l’indice di attrazione rispetto alle prestazioni offerte a cittadini non residenti. Sta di fatto che il confronto tra l’indice di attrazione e quello di fuga fornisce un quadro sia dell’efficacia ed efficienza di ciascun Servizio sanitario regionale nel rispondere ai bisogni di salute della popolazione residente, sia indirettamente della qualità percepita dai cittadini rispetto ai servizi sanitari erogati.
A livello nazionale, nel 2021 il valore dell’attività legata agli spostamenti per cure è stato di quasi 2,5 miliardi di euro, in aumento rispetto al 2020 ma ancora sotto i valori del pre-pandemia, ovvero gli anni 2017, 2018 e 2019. «Alcune regioni - ha detto il direttore Agenas Domenico Mantoan - attraggano più di altre, e in alcune attrae più il servizio pubblico mentre in altre il privato. Va tenuto conto che c'è anche una mobilità apparente, ovvero quella di cittadini che vivono in altra regione da quella in cui risultano residenti. C'è poi la mobilità di chi decide liberamente di farsi operare da specifici medici o ospedali di fiducia.
C'è però anche una parte di mobilità dettata da inappropriatezza, su cui è possibile e bisogna intervenire». Per la Puglia, come detto, i dati pubblicati sul portale Agenas indicano un saldo negativo di quasi 87 milioni di euro (peggio della nostra regione solo la Sicilia, la Calabria e la Campania con un saldo negativo di 185 milioni) rispetto agli 83 milioni del 2020. Meglio è andata in Basilicata, sempre in negativo ma con un saldo di 40 milioni rispetto ai 31 milioni del 2020. Lo scorso anno, spulciando sempre i dati Agenas, sono stati 1.956 i pugliesi (13,6%) rispetto ai 1.826 del 2020 che hanno scelto di curarsi fuori regione, negli ultimi cinque anni sono stati complessivamente oltre 11mila. I lucani in trasferta per cure sanitarie sono stati 735 (42,5%) nel 2021 mentre nell’ultimo quinquennio il numero complessivo sale a 3.758. «La mobilità passiva è un problema che attanaglia tutto il Mezzogiorno - commenta l’assessore regionale alla Salute, Rocco Palese - anche se spesso assistiamo ai cosiddetti “viaggi della speranza” che di speranza hanno ben poco e molto più, invece, di sfiducia stratificata nel tempo. Certo, rispetto agli scorsi anni in Puglia c’è stato un miglioramento ma rimane un grave problema nonostante la Puglia abbia le strutture sanitarie in grado di erogare certe prestazioni sanitarie senza dover andare in altre regioni».
Chi sceglie di sottoporsi fuori regione a operazioni anche banali (dall’alluce valgo agli interventi contro l’obesità), infatti, costringe le casse di Puglia a spendere diverse decine di milioni di euro per rimborsare le regioni del Nord che accolgono i nostri pazienti in fuga. «Invito, pertanto, tutti coloro che ne avessero bisogno - continua l’assessore Palese - di informarsi prima di “emigrare” in altre regioni perché molte delle prestazioni sanitarie possono essere effettuate in Puglia con la stessa qualità e la stessa professionalità. Il Sud non può essere penalizzato due volte, con i criteri di riparto e con la mobilità passiva: è un problema che va corretto anche a livello di conferenza Stato-Regioni. Certo, va migliorata anche l’informazione: i cittadini pugliesi vanno meglio informati». L’area del portale statistico di Agenas dedicata alla mobilità sanitaria mette a disposizione i dati degli ultimi 5 anni rispetto all’attività interregionale dei ricoveri. Ne emerge, ad esempio, che nel 2021 nell’area della cura dei tumori, sono stati quasi duemila i pugliesi che si sono fatti curare in altre regioni, soprattutto all’Istituto europeo di oncologia di Milano (287 pazienti), al «Gemelli» di Roma (208) e all’Azienda ospedaliera pisana (124).
Per quanto riguarda le liste d’attesa (sono circa 400mila i pugliesi in lista per una visita ambulatoriale specialistica, con un’attesa media di 180 giorni), una spina nel fianco del sistema sanitario pugliese che sta creando non pochi disagi ai cittadini dal Gargano al Salento, sono state erogate nel corso del primo semestre di quest’anno 6.723 prestazioni ospedaliere, è stato già recuperato il 27% dei ricoveri chirurgici programmati nel Piano e 121.976 prestazioni di specialistica ambulatoriale (prime visite e visite di controllo, chirurgia ambulatoriale, prestazioni monitorate dal Pnla ed esigenze regionali) pari al 46%. Il Ministero della Salute, di concerto con l’Agenas, ha approfondito gli aspetti relativi al monitoraggio del II° trimestre dando un riscontro positivo al lavoro svolto dagli attori regionali. Con riferimento ai dati relativi gli screening, la Regione Puglia ha comunicato di aver posto in essere, nel corso del trimestre in corso, tutti gli adempimenti necessari all’erogazione delle prestazioni dando conferma che tali dati saranno rendicontati nel monitoraggio del III° trimestre. Pertanto l'incontro si è concluso con una valutazione positiva per la Regione Puglia in quanto, dai dati comunicati al Ministero, è emerso un effettivo recupero delle prestazioni in lista d’attesa ed un corretto allineamento tra il programmato e l’erogato.
«La nostra attenzione rispetto alla questione liste d’attesa è massima - conclude l’assessore regionale alla Sanità - la Regione sta facendo la sua parte per recuperare le prestazioni che si sono accumulate durante il periodo pandemico. Il problema di fondo rimane il divario di personale sanitario e risorse che la Puglia, così come altre regioni del Sud, patisce rispetto alle regioni del Nord, in proporzione agli abitanti. In ogni caso, contiamo entro la fine dell’anno di smaltire il resto delle prestazioni non ancora erogate».