serie A
Ulivieri: il ritiro forzato è inutile, veniamo da mesi di quarantena
Il presidente dell’Assoallenatori: «E ai tifosi dico: amate la vostra squadra come si ama una donna lontana»
Chi meglio di Renzo Ulivieri, 79 anni, toscano di San Miniato, può provare a fotografare quello che sarà, non si sa quando vista la novità giunta nella serata di ieri, il primo giorno d’allenamento «a squadre»? Il presidente dell’associazione italiana allenatori, mille battaglie sindacali, mille panchine e mille vite, «si spoglia» e scende in campo. Una lunga chiacchierata. Scherzosa, schietta, pungente. E che racchiude concetti di responsabilità personali all’interno di una collettività e di giustizia sociale. Una diramazione delle mille vite di «Renzaccio», attivo politicamente in passato con la sinistra più o meno radicale. L’incipit è un ormai famoso post dell’ex tecnico di «non-so-più-ormai- quante-squadre» su Facebook.
«Sì, l’ho scritto che era aprile e si discuteva già a più non posso. Farei così: siccome c’è bisogno di tornare al calcio di una volta, si fa la conta, si fanno le squadre e si gioca fino a che il buio non diventa padrone. Chi vuole, però, può andare via prima, come succedeva quando eravamo ragazzini e c’era qualche genitore che arrivava in anticipo a prendere il figlio. Dovrebbe essere così il primo giorno. Per sottolineare la gioia del ritrovo dopo tanto tempo. Ma non decido io e ci sono delle norme da rispettare».
Coronavirus e dintorni, cosa ne pensa di questo caos organizzato?
«Tutto molto complesso. Spero che il protocollo venga alleggerito un po’. In questa situazione vedo molti problemi di realizzazione. Il ritiro mi pare una forzatura, anche perché andrebbe considerato ciò che è accaduto prima: tutti siamo stati rinchiusi due mesi in casa. Farei appello invece al senso di responsabilità di ognuno di noi pr la cura della propria salute. Responsablità civili e penali? La nostra salute è una responsabilità. Se tutti si rispetta uno stile di vita consono, l’ambiente resta sano senza bisogno di clausure».
Non si è sentita spesso la voce degli allenatori.
«Ma fra di noi abbiamo parlato molto. Abbiamo un principio: siccome si fa parte della federazione, quello che noi pensiamo cerchiamo di farlo arrivare alla stessa federazione, assieme alle altre componenti. Sennò si regala l’immagine di un mondo diviso, nel quale ognuno fa per conto suo. Le nostre perplessità sono arrivate a destinazione, ve lo garantisco».
Se c’è un contagiato si fermano tutti.
«Anche questo non mi convince. Come si fa? Diventa difficile. Il campionato partirebbe già morto. All’interno del nostro mondo ci saranno contagiati, ma credo sia meglio fare come in altre parti del mondo. Direi che in Germania hanno scelto una buona linea. Ecco, torno al concetto precedente, al senso di responsabilità. Facciamo il ritiro in casa, che è una quarantena. Inutili i mega ritiri. Stare a casa e stare attenti alla propria vita quotidiana. Un modo diverso di costruirsi un mondo chiuso, ma allo stesso tempo più gestibile. Comporterebbe ovviamente rivedere il capitolo sulle responsabilità dei medici».
In Germania, appunto, la Bundesliga è ricominciata.
«Ho seguito un po’ il Borussia. E’ stato bello rivedere una partita vera, con la bellezza dei tre punti in ballo».
Se la A dovesse ripartire a giugno inoltrato, cambieranno le abitudini e il modo di allenare. Si giocherà ogni tre giorni e sotto il sole estivo. Mai successo in precedenza.
«Dovrà per forza cambiare. Due mesi di allenamenti a casa, è poca roba… Servirà molta attenzione, curare i particolari. Super lavoro e super studio della nuova realtà. Ma al giorno d’oggi gli staff tecnici pensano a tutto. Il personale italiano è di ottimo livello».
Favorevole ai 5 cambi?
«Sì, nel modo più assoluto».
Che calcio sarà a porte chiuse? Che calcio sarà se dalle tribune non pioveranno offese verso l’allenatore?
«Un altro calcio. Il pallone ha bisogno del pubblico, non se ne può fare a meno. C’è stata anche una rimostranza delle tifoserie europee. Capisco. Però ora è così. Il tifo per una squadra è sentimento, se siamo costretti facciamolo da casa. È come l’amore per una donna: vale anche da lontano, c’è poco da fare. Se si ama, si ama».
Questa pandemia rischia di far saltare per aria molti club, la conseguenza sarà che diminuiranno i posti di lavoro. E ancora. Come saranno salvaguardati i contratti in essere delle fasce più deboli, fino ai dilettanti?
«Nel calcio non tutti guadagnano tanti soldi e noi dobbiamo proteggere proprio loro in particolare. Non si può discutere di chi prende cifre inferiori a 1500 euro. Non mi riferisco solo ai tecnici, ma ai lavoratori del calcio in generale. C’è la cassa integrazione è vero, ma se non arriva bisognerà integrare. Stiamo parlando di nulla nell’economia di una società di calcio. È uno sforzo che va fatto. Per chi ha stipendi più alti, vedremo, è un discorso diverso, un discorso di giustizia sociale».
Come procedono i corsi per allenatori? Andranno avanti?
«Li stiamo mandando avanti. Online. Mancherà la pratica sul campo e la svolgeremo quando sarà possibile. La parte teorica online è faticosa. La lezione frontale è un altro mondo, ovviamente».
Ha allenato miriadi di giocatori. Facciamo un gioco e poi ci salutiamo. Il più bravo?
«Direi Baggio. Ma anche Buffon, Thuram, Cannavaro. E uno che pochi ricordano, Alviero Chiorri. Era un fenomeno, non ha sfruttato al massimo le sue qualità. Non ricordo bene se giocò in Bari-Sampdoria 1-2 del 2 maggio 1982, arbitrava Casarin, il risultato ci spalancò la A proprio a danno dei biancorossi. Era un grande Bari, quello. Giocava a zona, lo allenava Catuzzi, un grande allenatore che avrebbe meritato molto di più».
Il più «filosofo»?
«Facile, visto che poi ha fatto carriera da manager: Walter Sabatini. Ma anche nella Teranana 1978-79 c’era gente così: Mitri che poi è diventato un attore, Codogno, Ratti, gente di sinistra acculturata. E vivevamo in una città-operaia. Quindi certe idee fiorivano».
Quello che più l’ha fatta disperare?
«Torrisi. L’ho avuto con me tanti anni, dal Modena in poi. Calciatore importante. Ma difensore estroso e funambolico. Quando però un difensore ha questa etichetta, l’allenatore si preoccupa un po’…».