STORIE DI MAFIA
Foggia, trent’anni fa la storica sentenza che sancì il marchio "mafia" per i clan della Società
La “Società” negli ultimi anni grazie al lavoro della Dda di Bari ha incassato sconfitte sotto forma di centinaia di arresti e condanne
FOGGIA - La “Società foggiana” raccontata anche con i battesimi. Quelli camorristici: “Siamo qui a riunire società come la riunirono i nostri tre vecchi fondatori, conte Ugolino, Fiorentin di Russia e cavalier di Spagna. Se tradirò sarò distaccato, dischiacciato e giudicato secondo le regole della sacra corona formata; giuro su questa punta di pugnale di sconoscere madre, padre, fratelli e sorelle fino alla settima generazione; e giuro di dividere centesimo per centesimo, millesimo per millesimo, con un piede nella fossa e l’altro alla catena di dar man forte alla galera”. E quelli giudiziari: il 29 luglio ’94 la Corte d’assise di Foggia dopo 73 udienze e 3 giorni di camera di consiglio, impresse per la prima volta in un’aula di Giustizia il marchio di mafiosità alla criminalità organizzata del capoluogo, nel maxi-processo Panunzio condannando 47 imputati (21 gli assolti) a 413 anni e 10 mesi e un ergastolo: 35 le condanne “per aver costituito o comunque preso parte a un’associazione per delinquere armata di stampo mafioso-camorristico al fine di commettere un indeterminato numero di delitti di omicidio, tentato omicidio, estorsioni, traffico di droga, furti e ricettazione utili ai fini dello sviluppo e della permanenza dell’associazione”.
Colpevoli ritardi Ma al battesimo giudiziario della “Società” del luglio ‘94 la Legge arrivò con almeno 10 anni di ritardo. Fu infatti negli anni Ottanta che i mafiosi foggiani pretesero e ottennero l’autonomia da napoletani e salentini che pensavano e pretendevano di metterli a servizio. Troppe sottovalutazioni a livello locale prima e nazionale poi hanno accompagnato la storia della “Società”. Prima negandone l’evidenza, salvo ricredersi di fronte ai sigilli dei Tribunali: quindi derubricandola a “mafia stracciona”, rendendole un servigio e favorendone la crescita nell’ombra tanto da consentirle di assurgere a quarta mafia d’Italia dopo Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra; basti dire che il 31 luglio 2014 nell’ennesima visita della commissione parlamentare antimafia c’era tra i commissari chi ancora confondeva la Società con la Sacra corona unita salentina.
E sottovalutazioni – Bisognava tapparsi gli occhi per non guardare e prendere coscienza di quanto avveniva negli anni Ottanta/Novanta, individuando tutti i segnali della ferocia dei signori del disonore. In quel periodo solo Cosa Nostra a Palermo con l’omicidio dell’imprenditore Libero Grassi del 29 agosto ’91; e la Società a Foggia, con l’assassinio del costruttore Giovanni Panunzio il 6 novembre ’92, eliminava chi si ribellava al pizzo e denunciava gli estorsori.
Il monito dei giudici “Si è di fronte a una struttura solida, efficiente, duratura” ammonì la corte d’assise nel motivare le condanne al maxi-processo Panunzio “dotata di pericolosa e destabilizzante potenzialità. I fatti di questo processo nella loro agghiacciante realtà rivelano accanto all’autorità delle leggi un potere più incisivo e efficace, quello della mafia. E’ ricca di mezzi, pronta a colpire chiunque ostacoli il suo cammino: agisce, lucra, uccide come e quando vuole. Si è piombati in un clima di sfiducia e terrore; la nostra sopravvivenza, la nostra dignità si sentono minacciate e quasi soverchiate come da un potere ineludibile; inquietante l’infiltrazione nel tessuto sociale, fattore inquinante delle classi più attive e dinamiche”.
E oggi… - Parole profetiche. E quanto mai attuali, come emerge da analisi e processi di questi ultimi anni: estorsioni a tappeto; collaborazione quasi inesistente delle vittime; taglieggiati che escono dalla Questura dove hanno negato di pagare il pizzo per raggiungere subito dopo i ricattatori avvisandoli dell’indagine in corso; una forza e una nomea tale quella della Società, da dover ricorrere solo saltuariamente a intimidazioni e attentati perché basta chiedere il pizzo per incassare; crescita esponenziale di una criminalità sempre più proiettata verso “mafia degli affari” che tratta da pari a pari con organizzazioni criminali nazionali; infiltrazioni nel tessuto economico-sociale-politico (consiglio comunale di Foggia sciolto il 6 agosto 2021, era successo solo a un altro capoluogo di provincia); affermarsi di una borghesia mafiosa, terra di mezzo in cui convergono interessi della criminalità e di esponenti infedeli di imprenditoria e pubblica amministrazione.
Debolezze e scricchiolii – I rituali di affiliazione che cementano il senso di appartenenza non sono stati affatto aboliti, ma proseguono come rivelato nel 2022 dal pentito Patrizio Villani che pure spigò la differenza tra affiliati (chi viene battezzato e insegue la scala dei sette gradini: picciotteria, camorra, sgarro, santa, vangelo, crimine o sestino, mammasantissima o capomandamento) e associati ai clan. Anche oggi come nei primi anni Novanta la “Società” vive un momento di difficoltà, debolezza. Nel luglio ’92 assistette attonita al primo dei 15 (pochi, pochissimi) pentiti della sua storia quarantennale, quel Salvatore Chiarabella di basso spessore criminale ma importante perché prima gola profonda, perché autista di un boss, perché rivelò i rituali di affiliazione nel carcere di Foggia, perchè fece i nomi dei costruttori sotto estorsione. Il pentimento di Chiarabella seguiva la decisione di Giovanni Panunzio di ribellarsi al racket, denunciando gli estorsori: di fronte al muro del silenzio che mostrava crepe la “Società” investì nel terrore e uccise il costruttore, dando un segnale di ferocia e forza pagato sì duramente con la sentenza del maxi-processo Panunzio che ne sancì la mafiosità, ma raggiungendo anche gli obiettivi: chi parla muore, chi denuncia viene eliminato. Tano Grasso presidente della Federazione antiracket italiano ha definito Foggia una città “dove si paga molto e si parla poco”.
E adesso? La “Società” negli ultimi anni grazie al lavoro della Dda di Bari ha incassato sconfitte sotto forma di centinaia di arresti e condanne: da “Decimazione” e “Decimabis” (74 arresti tra novembre 2018 e novembre/dicembre 2020) con una settantina di condanne alla mafia del pizzo; a “Game Over” (82 arresti a luglio 2023) cui sono seguite il 12 luglio le prime 58 condanne a 560 anni di carcere per traffico di droga aggravato dalla mafiosità. E i pentiti in serie sfornati negli ultimi anni dopo che per decenni il muro dell’omertà aveva retto, un unicum nel panorama criminale nazionale, svelano segreti e reati. Da dicembre e gennaio scorsi collaborano con la Giustizia “i capelloni”, i fratelli Ciro e Giuseppe Francavilla, esponenti di primissimo piano del clan Sinesi/Francavilla. Parlano di omicidi, estorsioni, collusioni e contiguità, borghesia mafiosa e terra di mezzo. Per tutto questo oggi come trent’anni fa la “Società” è in difficoltà.