Il caso
Omicidio Fabbiano a Vieste: per Iannoli c’è l’ergastolo
Fu ucciso nella guerra tra i clan della mafia garganica
VIESTE - Ergastolo a Giovanni Iannoli, 38 anni, viestano, colpevole dell’omicidio aggravato dalla mafiosità di Antonio Fabbiano, compaesano di 24 anni, e del tentato omicidio di Michele Notarangelo, avvenuti la sera del 25 aprile 2018, collegati alla guerra tra il clan Iannoli/Perna e il gruppo Raduano. I killer esplosero 14 colpi con un mitra Kalashnikov che raggiunsero Fabbiano deceduto poco dopo in ospedale, mentre le pistolettate esplose contro Notarangelo andarono a vuoto. La sentenza è stata pronunciata poco prima delle 17 dopo quasi 3 ore di camera di consiglio dalla corte d’assise di Foggia; accolta la richiesta di carcere a vita avanzata il 7 giugno dai pm Ettore Cardinali e Rosa Pensa; gli avv. Giulio Treggiari e Michele Arena vista la confessione di Iannoli sollecitavano la concessione delle attenuanti generiche che avrebbero evitato l’ergastolo. L’imputato, cui è stata inflitta la pena accessoria dell’isolamento diurno per 12 mesi, dovrà risarcire i danni alla madre di Fabbiano costituita parte civile con l’avv. Diego Petroni e al Comune di Vieste costituito con l’avv. Michele Fusillo.
Iannoli era in videocollegamento dal carcere di Siracusa; è detenuto dall’agosto 2018 e sconta 20 anni per traffico di droga nel blitz “Neve di agosto”; e 14 anni e 6 mesi per il tentato omicidio di Marco Raduano (l’ex boss pentitosi nel marzo scorso) del 21 marzo 2018. Per l’omicidio Fabbiano, Iannoli fu arrestato il 9 agosto 2021 con ordinanza cautelare notificata in cella; è sotto processo sempre in corte d’assise anche per l’omicidio di Marino Solitro pure confessato ucciso sotto casa ad aprile 2015.
Cinque pentiti accusano Iannoli dell’agguato a Fabbiano e Notarangelo: il viestano Danilo Pietro Della Malva, ex affiliato al clan Raduano; il compaesano Giovanni Surano; il mattinatese Andrea Quitadamo detto “Baffino”; il barese Domenico Milella; e Raduano. Della Malva ha raccontato che Notarangelo sfuggito alla morte si rifugiò a casa sua e gli disse d’aver riconosciuto in Giovanni Iannoli e Gianmarco Pecorelli i killer. Raduano ha confermato: Notarangelo gli confidò d’aver riconosciuto i pistoleri con Iannoli che gridò “infamone vieni qua”; e lo stesso Iannoli gli disse d’essere coinvolto.
L’imputato il 31 maggio confessò d’aver sparato insieme a Gianmarco Pecorelli, poi assassinato il 19 giugno 2018, uno degli oltre 10 omicidi confessati dal neo pentito Raduano. Iannoli disse che dopo aver sparato a Raduano senza riuscire a eliminarlo (agguato confessato nel processo per il tentato omicidio) ci fu la reazione degli avversari; temendo d’essere ucciso da Fabbiano, decise di anticiparne le mosse: lui impugnava un mitra e non si rese conto d’aver colpito il rivale, mentre Pecorelli aveva una pistola
Quando la corte è entrata in camera di consiglio quindi non doveva decidere se condannare o assolvere Iannoli, ma “solo” la pena da irrogare. I pm nel chiedere l’ergastolo avevano rimarcato il contesto della sparatoria “legata alla violenta guerra di mafia tesa a acquisire il controllo egemonico del territorio viestano e il monopolio nello spaccio di droga”; e sostenuto che l’imputato non meritava alcuna attenuante perché la confessione è stata tardiva. Gli avv. Arena e Treggiari nelle arringhe del 21 giugno avevano replicato che la duplice confessione di Iannoli per gli omicidi Fabbiano e Solitro dimostra un atteggiamento collaborativo, peraltro già avviato nel processo per il ferimento di Raduano; atteggiamento autoaccusatorio, non omertoso e mafioso, di cui la corte doveva tener conto concedendo le attenuanti generiche che avrebbero evitato l’ergastolo.