la rete criminale
Foggia epicentro della droga, la Dda chiede 18 condanne per il processo «Araneo»
Finiscono sotto accusa dal pubblico ministero Errede e 19 imputati. Il blitz dei Carabinieri scattò nel 2020 da un’indagine su estorsione
FOGGIA - Il pubblico ministero della Dda Grazia Errede ha chiesto un’assoluzione e 18 condanne a complessivi 123 anni e 7 mesi con pene oscillanti da 2 a 18 anni, nel processo «Araneo» in corso dal 16 novembre 2021 al Tribunale dauno a diciannove imputati - per lo più foggiani - accusati a vario titolo di settanta capi d’imputazione per fatti accaduti tra luglio e dicembre del 2021: traffico di cocaina, hashish e marijuana aggravato dalla mafiosità (il Pm in requisitoria ha chiesto l’esclusione dell’aggravante); 66 imputazioni di spaccio; 3 di detenzione illegale e/o ricettazione di munizioni.
Il blitz dei Carabinieri del nucleo investigativo scattò il 26 ottobre 2020 con l’esecuzione di 16 ordinanze del gip di Bari (5 in carcere, 11 ai domiciliari) su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Indagando su un tentativo di estorsione mafiosa, fu scoperto un traffico di droga con epicentro Foggia e un raggio d’azione e di rifornimento droga che interessava anche paesi della provincia, Potenza e Chieti.
La pena più alta, 18 anni, il pm l’ha invocata per Gianfranco Bruno, 44 anni, detto «il primitivo», elemento di spicco della mafia: sconta 14 anni e 8 mesi perché condannato in via definitiva quale mandante di tre tentativi di omicidio del gennaio 2019 quando ordinò la morte di tre foggiani per vendicare l’omicidio del cognato Rodolfo Bruno, presunto cassiere del clan Moretti, assassinato il 16 novembre 2018 in un agguato mafioso da tre sicari ancora ignoti. Come un elemento di peso della «Società» è considerato Giuseppe Albanese, 42 anni, soprannominato «Prnion», ritenuto affiliato al clan Moretti e per il quale l’accusa ha chiesto 10 anni: Albanese è detenuto per questo processo; per l’omicidio di Rocco Dedda del 23 gennaio 2016 collegato a una guerra di mafia; il triplice tentato omicidio del boss Roberto Sinesi, figlia e nipotino di 4 anni del settembre 2016 sempre connesso alla guerra tra batterie rivali; mafia e tentata estorsione nel processo «Decimazione» con condanna in primo grado a 18 anni; e rapina dello scooterone di un debitore con condanna in primo grado a 2 anni. I due imputati respingono le accuse. Dopo la requisitoria del Pm che ha depositato una memoria di 384 pagine, il processo proseguirà con le arringhe difensive il 12 luglio e 13 settembre, poi la sentenza.
Un’intercettazione dà il senso dell’inchiesta, la frase pronunciata da Gianfranco Bruno a uno spacciatore: «tu hai l’oro nelle mani e non lo sai». Sono infatti le captazioni uno degli elementi principali della Dda per chiedere 18 condanne. Per indicare la droga sarebbero stati usati termini criptici quali «perizoma tigrato» (hashish); «perizoma bianco» (cocaina); «rosa dei venti», «Luis Vitton», «Sd», Kebul o K» («è buono, soltanto che un po’ puzza») per riferirsi alla marijuana. Un grammo di cocaina a scaglie veniva venduto a 39 euro; per mezzo chilo di marijuana il costo era di 500 euro.
I Carabinieri, per ascoltare le voci dei presunti trafficanti e pusher, piazzarono microspie su quattro auto e nella villa di Bruno a «Quadrone delle vigne» alla periferia di Foggia ritenuta il covo del clan; 7 gps furono installati su macchine in uso a sospettati per monitorarne gli spostamenti; e furono utilizzate anche riprese video. E che non si tratti solo della cosiddetta «droga parlata» è dimostrato, nell’ottica accusatoria, da arresti in flagranza e sequestri di sostanza stupefacenti eseguiti a riscontro di quanto emergeva dai colloqui intercettati: in 6 mesi di indagini i carabinieri del nucleo investigativo sequestrarono 750 grammi di hashish; 4 chili e mezzo di marijuana; 130 grammi di cocaina.