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L'editoriale di Bruno Vespa: «La linea politica sull'Ucraina premia il governo ma fa tremare il campo largo»
Vedremo che succederà lunedì a Berlino quando Zelensky incontrerà i principali leader europei, ma allo stato la possibile conclusione della trattativa è piuttosto allarmante
Mentre il mondo politico si affannava a chiedersi se Matteo Salvini avrebbe messo una buona volta in difficoltà il governo opponendosi all’invio di aiuti militari all’Ucraina, l’altra sera il leader della Lega in tutta tranquillità affermava a «Porta a porta» che la fedeltà del suo partito al governo è assoluta.
Fedeltà a un governo, ha aggiunto, esempio internazionale di stabilità. Salvini sostiene, peraltro, che l’Ucraina ha perso la guerra e che non ha senso continuare a far morire migliaia di persone da ambo le parti. Ben venga perciò, al più presto, un accordo di pace patrocinato da Trump. Il problema sono le condizioni alle quali tutto questo dovrebbe avvenire.
Vedremo che succederà lunedì a Berlino quando Zelensky incontrerà i principali leader europei, ma allo stato la possibile conclusione della trattativa è piuttosto allarmante.
Diceva ieri uno dei consiglieri più ascoltati di Putin che alla Russia converrebbe continuare la guerra fino alla resa completa dell’Ucraina. Mosca potrebbe temere di essere isolata dopo la conclusione del conflitto, ma questa tesi confligge da un lato con la simpatia manifestato verso Putin dalla Cina e dall’India, dall’altro con la forte simpatia politica e personale per Putin che Trump sta manifestando in maniera sempre più allarmante nel corso delle trattative.
Il grosso timore è che per la prima volta nella storia degli Stati Uniti vengano riconosciuti territori occupati da paese aggressore. L’Europa non seguirebbe mai Trump su questa linea. Il tentativo di questi giorni e di queste ore è un compromesso che metta d’accordo tutti. Le premesse non sono incoraggianti perché Putin ha inserito nella costituzione il Donbass come regione russa e l’Ucraina non è pronta, ovviamente, ad una cessione pura e semplice che non sia almeno mascherata la zona neutra o qualcosa del genere (ma ieri Zelensky ha smentito un’ipotesi del genere).
Il viaggio dei giorni scorsi di Zelensky a Roma per incontrare Giorgia Meloni e i ringraziamenti all’Italia confermano che non abbiamo nessuna intenzione di schierarci con i paesi europei russofili guidati dall’Ungheria (ieri Orbàn ha strepitato contro il sequestro e l’utilizzo degli asset russi detenuti nelle banche europee).
Meloni continuerà a tenere le cinture allacciate per mantenersi solidale con i principali paesi europei e con Trump che - piaccia o non piaccia - ha le chiavi della trattativa. È interessante, peraltro, vedere nel «campo largo» l’atteggiamento di Giuseppe Conte che ha rettificato lo scivolone di voler affidare esclusivamente a Trump la gestione della tregua, vista l’incapacità europea di farlo. Ma i sondaggi dicono che il suo elettorato è quello più propenso ad una chiusura della trattativa ad ogni costo, anche se fosse solo Putin a trarne un grosso vantaggio. E lui deve tenerne conto…