societò
Comunicare significa usare l’empatia (anche nel lavoro)
È la nuova forma di intelligenza relazionale: l’unica in grado di mantenere viva la connessione umana, di dare qualità alle relazioni private e di rendere sostenibili quelle professionali
Comunicare significa condividere; farlo con empatia, come affermava Carl Rogers già nel 1957, implica la capacità di percepire il mondo interiore dell’altro come se fosse il proprio, ma senza mai perdere la condizione del «come se». Non si tratta di illudersi di sapere esattamente come l’altro si senta, né di immaginare come ci si sentirebbe al suo posto, ma di comprendere, attraverso il linguaggio del corpo, le espressioni, il tono di voce e le parole, come l’altro vive e sente, validando i suoi sentimenti ed esprimendo una presenza autentica e accogliente.
Secondo Mark H. Davis, l’empatia include una componente cognitiva – la capacità di assumere la prospettiva altrui – e una affettiva, la partecipazione emotiva alle esperienze dell’altro. Sapersi mettere in ascolto, come suggerisce Daniel Goleman con il concetto di intelligenza emotiva, significa sintonizzarsi sul vissuto e sulla realtà emotiva dell’altro, evitando giudizi o risposte automatiche. La vera empatia, come spiegava Barrett-Lennard, richiede una distanza relazionale ottimale: sufficiente vicinanza per comprendere, ma anche la necessaria differenziazione per poter essere davvero d’aiuto. Nella comunicazione empatica chi ascolta diventa uno specchio riflettente, in cui l’altro può riconoscersi, rielaborare le proprie emozioni e trovare le proprie risposte. Questa competenza, un tempo confinata ai contesti di aiuto o terapeutici, è oggi riconosciuta come essenziale in ogni ambito della vita umana.
Nel mondo del lavoro, le ricerche di Daniel Goleman, Richard Boyatzis e Annie McKee dimostrano che l’empatia è al centro della leadership efficace, della collaborazione e della coesione dei team. È la base di una comunicazione che costruisce fiducia, riduce i conflitti e promuove innovazione. In un’epoca di trasformazioni tecnologiche e sociali rapide, in cui la comunicazione digitale rischia di ridurre la presenza autentica, la competenza empatica rappresenta un vero cambio di paradigma. Secondo Clark, Robertson e Young (2019), la comunicazione empatica promuove pratiche di leadership trasformazionale e rafforza il benessere organizzativo, riducendo lo stress e il turnover. In questo senso, coltivare empatia e ascolto attivo nei contesti professionali non è solo un atto relazionale, ma una strategia organizzativa sostenibile che favorisce produttività e qualità del clima aziendale. Permette di dare e ricevere feedback in modo efficace e senza rompere la relazione, rafforzando autenticità e lealtà, valorizzando i ruoli non per l’aspetto formale ma garantendo stima, seguito e determinazione sugli obiettivi. È la nuova forma di intelligenza relazionale: l’unica in grado di mantenere viva la connessione umana, di dare qualità alle relazioni private e di rendere sostenibili quelle professionali.
Essere empatici oggi non è più una scelta gentile, ma una necessità evolutiva. Nel modello dello sviluppo dell’empatia di Faith Valente (2016), egli indaga come le percezioni empatiche influenzano le interazioni comunicative attraverso alcune caratteristiche interne: condivisione emotiva, relazioni positive, stima e rispetto reciproco, genuinità personale ovvero l’autenticità di chi ascolta. Le abilità e le competenze empatiche non sono un tratto statico ma si possono apprendere e allenare attraverso giochi di ruolo e formazione per l’assunzione di prospettiva altrui, che permette di comprendere le motivazioni dell’altro senza necessariamente condividere le sue emozioni, il mentoring, il team building, il coaching.