L'analisi

Addio «rivoluzione gentile»: così si è spenta la luce di Nichi Vendola in Puglia

Bepi Martellotta

La speranza della sinistra che andò al governo della Puglia nel 2005 per rovesciare il regno di Fitto oggi, 2025, è diventata stampella di una sinistra (quella del decennio Emiliano) che non è più rivoluzionaria perché governa da vent’anni

C’è una stagione per tutto, anche per la «rivoluzione gentile» di Nichi Vendola, morta nelle urne pugliesi di domenica e lunedì. La speranza della sinistra che andò al governo della Puglia nel 2005 per rovesciare il regno di Fitto oggi, 2025, è diventata stampella di una sinistra (quella del decennio Emiliano) che non è più rivoluzionaria perché governa da vent’anni. Ed ora si è pure rotta. Vent’anni dopo c’è un nuovo campione delle urne, Decaro, che aveva preso una decisione: «Vendola non si deve candidare». E le urne gli hanno obbedito.

Nichi Vendola, presidente della Regione per 10 anni, resta fuori dalla Regione. Era il 2005, un tempo in cui i giovani, quelli che oggi si sentono lontani dalla politica e dalle urne che ne decidono le sorti, coglievano in un simbolo, in un’idea, in una persona, il riscatto dagli anni dell’oblio. Oggi, 2025, i giovani della sinistra «rivoluzionaria» la politica se la fanno da soli, sui social o nelle piazze pro-Pal. Non credono nel «buon governo» e alle urne non ci vanno proprio. I tempi, le culture, le idee e le aspirazioni sono cambiate. Tanto cambiate da non aspirare più ad avere un Nichi Vendola che rompa gli schemi, gli assetti o l’establishment, quello che un tempo era nelle mani della destra democristiana di Fitto ed oggi, anzi da anni, è nelle mani della sinistra acchiappatutti di Emiliano e Decaro. Le speranze della «Primavera pugliese», in questi venti anni, si sono addormentate nell’inverno della Realpolitik. E i pugliesi, domenica e lunedì, lo hanno confermato.

Brutta pagina per Sinistra italiana, un partito che con l’erede di Vendola, Fratoianni, è riuscito a superare la soglia delle Europee e a Roma si è ritagliato un posto di riguardo nel «campo largo» inseguito dal Pd. A Bari, invece, non riesce nemmeno a confermare il suo padre nobile, il leader spirituale delle sue battaglie contro l’omotransfobia, a favore della cittadinanza agli immigrati, a favore dello sviluppo fondato su turismo e cultura e contro gli inceneritori di rifiuti. Nichi Vendola, il poeta-cantore delle periferie, dei bambini di Taranto che disegnavano le nuvole nel cielo della città dei due mari mentre i fumi dell’llva la coprivano, resta fuori dal parlamentino regionale. E chissà se quello nazionale sia, a questo punto, ancora raggiungibile.

Eppure la Puglia quel leader lo ha persino scelto due volte, affidandogli per 10 anni il compito di ribaltare prima il notabilato della destra di Fitto e poi confermandolo alle primarie contro il Pd (ancora troppo «democristiano») di Franceschini e Boccia nel 2010. Stagione finita. Oggi i rivoluzionari del sacco a pelo inseguono Elly Schlein, una Lgbtq+ quanto basta e movimentista per scelta dai tempi delle «sardine» anti-Pd. E in questi 10 anni mentre Vendola si allontanava dalla «sua» Puglia, i suoi eredi - Emiliano e Decaro - costruivano una nuova cultura della sinistra. Quella del «governo a prescindere», con i Cinque Stelle pseudo-movimentisti nelle giunte regionali e i giovani di Forza Italia cooptati nel sottogoverno «di sinistra». Quella dei trasformismi occultati nei piccoli municipi del Barese o nelle municipalizzate dove si celebrava la festa dei Sandrino e degli Olivieri. Quella delle aspirazioni a favore dei più poveri e dei compromessi sui riarmi «mo’ vediamo». Quella sinistra che la ultradestra meloniana e il sovranismo salviniano non li combatte con le ideologie e i grandi comizi «alla Vendola» di un tempo, ma togliendo potere e soldi ai cacicchi di Fratelli d’Italia e Lega nei territori dove governa, lasciando loro piccole foglie d’insalata con le «nomine» nelle stanze dei bottoni. Insomma, un’altra epoca, un’altra stagione, un’altra Puglia quella che ha ritrovato Vendola. Additato da Decaro, insieme a Emiliano, per il suo riproporsi con il «vecchio» sistema contro il nuovo che il neo-governatore della Puglia intende costruire. Così additato da rimanere fuori dalla conta finale.

Sì. I fattori imprevisti ci sono stati in questa caduta dell’ex governatore, enfant prodige di don Tonino Bello e «comunista-omosessuale-ribelle» modello Pasolini. C’è l’inciampo oggettivo di una legge elettorale anomala e complicata, in base a cui anche se superi il 4% dello sbarramento non ce la fai perché non arrivi alla messe di voti presi dal tuo candidato presidente, proprio quello che non ti voleva fra i suoi piedi. C’è l’inciampo sui territori, dove i 6mila voti personali di Bari (un’inezia rispetto ai consensi dei «soldati» di Decaro) o gli oltre 50mila presi da Avs in Puglia non bastano a farti eleggere. Ma di certo, questa candelina spenta sulla torta del campo largo con cui la leader del Pd intende conquistare Palazzo Chigi nel 2027 rappresenta, ora, un problema che va oltre i confini pugliesi. Se si spegne la luce di Vendola in Puglia, dove non riesce nemmeno a farsi eleggere solo per traghettarsi nel 2027 alle Politiche, servono ancora le lampadine di Fratoianni e Bonelli per la corsa a Palazzo Chigi? Cioè, Sinistra Italiana è ancora una stampella valida a sostenere la causa del progetto anti-Meloni o se ne può fare a meno, visto che i consensi del leader in Puglia non vanno oltre quelli dei Popolari» di Stea? I dubbi, forse, cominceranno a serpeggiare nel Nazareno. E probabilmente quello di Decaro non era solo un invito a non candidarsi, ma un «amichevole» avvertimento a non cadere nell’inciampo finale.

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