L'analisi
Dazi Usa e avanzata cinese: la riscossa dell’Europa passa dal Mediterraneo
Il Vecchio Continente si ritrova stretto fra le ganasce di una tenaglia: da un canto le tariffe americane, dall’altro l’espansionismo commerciale di Pechino
Va’ dove ti porta il cuore, o il mercato. Le logiche, per certi versi, non differiscono. Quando un mercato si chiude, le merci cercano nuove rotte. Ed è per questo che i dazi di Trump rischiano di tramutare l’Europa nella valvola di sfogo delle esportazioni cinesi. Il Vecchio Continente si ritrova stretto fra le ganasce di una tenaglia: da un canto le tariffe americane, dall’altro l’espansionismo commerciale di Pechino.
Lo scorso luglio l’export cinese verso l’Unione ha avuto un’impennata di quasi il 10% (+7% nel primo semestre del 2025). Contemporaneamente, l’export verso la Cina precipita, portando la bilancia commerciale a smarrire sempre più il suo equilibrio. Per l’Italia, terzo Paese europeo per importazioni dal Dragone, tale realtà si traduce in pressione sul mercato interno. Piccole e medie imprese, infatti, sono costrette a misurarsi con una concorrenza di prezzi che non riescono più a reggere. L’Europa, di fronte a questo scenario, sembra voler tentare di ricomporre l’asimmetria muovendosi lungo la linea del cosiddetto «de-risking»: ridurre la dipendenza da Pechino nei settori critici senza erigere nuove barriere. In tal senso, la visita dello scorso luglio a Pechino dei leader europei in occasione dei cinquant’anni della riattivazione delle relazioni diplomatiche, è parsa più che una celebrazione un esercizio di prudente contenimento.
Ma può bastare? La realtà resta assai preoccupante: il sigillo cinese sul porto del Pireo e la crescente presenza in quello di Valencia attestano come la Via della Seta marittima abbia piantato solide ancore nel Mediterraneo. Trieste e Genova restano ancora porti «europei». Non per questo però possono ritenersi al riparo dall’interesse strategico di Pechino. Di tale stato di cose non ci si può meravigliare. Il Mare Nostrum è da secoli teatro di contese. E dove un tempo si affrontavano le flotte, oggi si punta al dominio di porti e catene logistiche.
Noi europei, dunque, se non possiamo sfidare la Cina sui terreni di prezzi e quantità, dobbiamo puntare sulla prossimità, la rapidità, la garanzia certificata della qualità. Le merci che salpano dall’Asia impiegano settimane per giungere sulle nostre coste. Le «filiere corte» del Mediterraneo, al contrario, possono ridurre le distanze, accelerare le consegne e trasformare la vicinanza geografica tra Europa e Africa in un vantaggio competitivo. Perfino superfluo aggiungere come l’Italia, per la sua collocazione geopolitica, si candidi naturalmente a divenire il baricentro di questa rete logistica. E a rappresentare lo snodo dal quale far passare la redistribuzione del valore tra le due sponde del Mare: ricerca, design e rifinitura da un canto; lavorazioni più standardizzate dall’altro.
In tale cornice, porti come Gioia Tauro e Taranto, se connessi adeguatamente con retroporti e ferrovie, possono aspirare ad assurgere a «porte d’Europa». La prospettiva è più facile da enunciare che da realizzare concretamente. C’è un problema di mezzi e di strumenti, certo, ma ancor più di volontà politica.
Bisogna innanzitutto evitare che l’alterazione degli equilibri globali provocata da Trump spinga Bruxelles a gettarsi nelle braccia della Cina. Il problema, semmai, è quello di ridurre le nostre tradizionali dipendenze senza generarne di nuove. La storia recente dovrebbe avercelo insegnato. Dalle mascherine cinesi durante la pandemia, al gas russo dopo l’invasione dell’Ucraina, fino a giungere ai «conti» a cui oggi ci costringe il monopolio tecnologico americano, la musica non cambia: l’Europa necessita di un’autentica autonomia strategica. E questa passa dall’economia non meno che dagli armamenti.
Per tale ragione il Mediterraneo, per la sovranità europea, è un banco di prova. Su commercio e trasporto marittimo, in particolare, si giocano partite decisive per il continente. Ed è per questo che oggi la «questione» del Mezzogiorno non può essere inquadrata che in tale contesto.