L'analisi
Tra «Chiostri e inchiostri» il pendolo della storia oscilla nel borgo antico di Noci
Un pendolo che oscilla tra estremi dimenticando quel «in medio stat virtus» che non è affatto elogio di una aurea mediocrità ma equilibrio e legittimità, come pensava Henry Kissinger
Dall’estrema globalizzazione all’infuriare dei dazi. Dall’europeismo senza se e senza ma e, in buona sostanza, acritico e inerziale al proliferare dei nazionalismi. A tutto questo si aggiunge una pluralità di identità europee spesso confliggenti tra contrastanti pulsioni filoamericane ma anche filorusse e filocinesi.
Un pendolo che oscilla tra estremi dimenticando quel «in medio stat virtus» che non è affatto elogio di una aurea mediocrità ma equilibrio e legittimità, come pensava Henry Kissinger.
In un contesto che sembra premiare le posizioni radicali di cui le guerre russo-ucraina e israelo-palestinese sono solo la vistosa punta dell’iceberg (non dimentichiamo quanto accade nel Corno d’Africa, nell’area subsahariana, in Myanmar e altrove) forse sarebbe opportuno riflettere sull’eccesso di oscillazione del pendolo.
La nostra rassegna letteraria «Chiostri e Inchiostri», che da stasera e fino a domenica 27 luglio si svolge nel borgo antico di Noci, ha l’ambizione di accostare ad una sezione, per così dire, generalista, un’area di riflessione sui rischi evidenti che le radicalizzazioni in corso possono comportare.
Viene in mente il celebre racconto di Edgard Allan Poe Il pozzo e il pendolo. È un incubo che risale al 1842 ma non cessa di fare paura.
Ambizione mal riposta si potrebbe eccepire. Forse. Ma nelle «gnostre» di Noci, a metà strada tra Jonio e Adriatico, il festival prova a mitigare la calura serotina e ad anticipare temi e situazioni interne ed internazionali nei dialoghi con autori e autrici, con analisti, osservatori, interpreti della «Geopolitica del caos» che Ignacio Ramones aveva individuato sin dal 1997. Alla geopolitica si collega il tema ispiratore di questa edizione della kermesse: ottant’anni della Liberazione. Un festival che si annoda intorno alle parole libertà, libero, liberale et similia; che dedica una «gnostra» ai laboratori e alla letteratura per i ragazzi; che si esprime attraverso, mostre, installazioni e concerti.
Non sono pochi gli intellettuali, i docenti, i giornalisti, gli editori che lavorano sulle cause recenti e remote di questa sorta di follia che serpeggia nelle cancellerie di mezzo mondo. Con loro, con i nostri amici, con il nostro pubblico, infatti, Chiostri e Inchiostri vuole fare un pezzo di strada.
Retorica vorrebbe che noi lo si voglia fare perché siamo «Terra di mezzo». Tra la Basilica di San Nicola, i minareti di Mostar e i monasteri ortodossi di Dečani ci sono meno chilometri che per Milano e la distanza tra noi e Gerusalemme è più o meno quella che ci separa da Londra.
Ci sta. Ma c’è un punto più sostanziale: un’antica tradizione del pensiero politico italiano ed europeo che ha imparato qualcosa dal tragico, doppio suicidio delle due guerre mondiali. In particolare, l’Italia ha saputo interloquire con la complessità dell’area mediterranea e persino sovietica più di altri, pur nell’arco d’oscillazione consentito dalla Guerra Fredda. La nostra storia diplomatica non va dimenticata.
Certo, nessuno pensa ragionevolmente che i libri possano fermare, nemmeno rallentare, le paurose oscillazioni del pendolo. Ci basta comunque essere consapevoli dei rischi e magari distinguere le ombre dei manovratori che spingono verso le più estreme oscillazioni.
In fondo, lo dobbiamo alla nostra storia. Non siamo pur sempre i pronipoti di Machiavelli?