L'analisi
Nella battaglia dei dazi scenda in campo una vera Europa «politica»
Una cosa sono le regole intese a sviluppare le politiche commerciali di competenza euro-unionale, altra cosa è la definizione dei dazi che, di fatto, si riconducono e ricadono sui prezzi dei prodotti finiti delle politiche industriali nazionali
Una cosa sono le regole intese a sviluppare le politiche commerciali di competenza euro-unionale, altra cosa è la definizione dei dazi che, di fatto, si riconducono e ricadono sui prezzi dei prodotti finiti delle politiche industriali nazionali.
Questo è, nell’epoca di Trump, il problema che deve essere risolto. Per risolverlo, la strada è una sola: l’UE non deve essere un mero simbolo aggregativo teorico che svolge trattative teoriche senza alcuna ricaduta pratica. Ciò in quanto, l’impegno proteso a massimizzare la percentuale ideale di dazio non vuol dire generare le medesime sofferenze economiche dei produttori europei sui prezzi all’importatore in Usa, con conseguente discriminazione dei valori aggiunti in favore delle imprese. Queste ultime, infatti, resterebbero preda di margini di guadagno differenziati dalle regole dei loro mercati interni, quanto a materie prime, tassazione e a costo del lavoro.
Una siffatta ipotesi, se divenuta scelta operativa, sarebbe causa di forti contrasti all’interno dell’Ue, della quale oggi non ci si rende conto nell’ottica esclusiva di contrapporsi contrattualmente ai capricci trumpiani.
Senza una Unione politica, percorrere la politica commerciale del tasso ideale di dazio applicato dall’Europa significherebbe allontanare, di qui a presto, l’ideale europeo. Ciò in quanto, con 27 Stati membri che hanno naturalmente per i loro prodotti prezzi di costo diversi di fabbricazione, con l’applicazione di dazi percentuali uguali ma nella sostanza differenti, si determinerebbero valori di utili imprenditoriali, conseguiti con l’esportazione in Usa, dissimili e disparati.
A ben guardare, l’UE ha la potestas legislativa esclusiva in materia di commercio. Con questo, anche quella di concludere accordi commerciali internazionali per conto dei suoi 27 Stati membri. Ciò sulla base delle norme fissate dall’Organizzazione mondiale del commercio. Le sue politiche in tal senso riguardano pertanto gli scambi di beni e servizi, così come la circolazione commerciale delle proprietà intellettuali, tra le quali di certo comprendere quelli derivanti dall’applicazione delle tecnologie informatiche, ivi compresi quelli generati attraverso l’intelligenza artificiale.
La ratio di affidare all’Unione europea la competenza di esercizio esclusivo di una tale regolazione era da rinvenirsi nella messa a terra, in tutti gli Stati membri, di strumenti idonei per la difesa commerciale e per l’accesso al mercato.
Ciò allo scopo di mettere in campo una codificazione in grado di proteggere omogeneamente le imprese dell’Unione dagli ostacoli che si frappongono, frequentemente, nel libero esercizio del commercio. Un tale fine regolatorio è stato a suo tempo difatti individuato come funzionale ad aiutare i Paesi in via di sviluppo a partecipare agli scambi commerciali tramite dazi doganali ridotti e programmi di sostegno.
Un problema difficile da risolvere ma da affrontare subito. Con la speranza che - proprio per essere di fronte ad un tema così complesso dal quale può dipendere negli anni l’incremento o la scomparsa di una gran parte del ceto produttivo domestico che trova negli Stati Uniti una valvola di sfogo alla propria produzione - venga a porsi con impellenza la costituzione di una UE politica, abilitata a decidere, ma per davvero, per tutti ma nel comune interesse, seppure attraverso percorsi e impegni differenziati.
Nel frattempo? La disomogeneità produttiva dei Paesi (ma anche delle Regioni) componenti l’UE deve rintracciare e costituire una stanza di compensazione dell’applicazione unitaria dei dazi americani, ma partecipata attivamente e nella continuità dagli Stati componenti, con il compito di prevedere aiuti alle produzioni interne a maggiore difficoltà di esportazione e di sopportazione di cali di fatturato di oltreoceano. Il modo, questo, per garantire prezzi finiti uniformi o quantomeno prossimi, con ricadute di valori aggiunti soddisfacenti per i singoli produttori. Ciò al fine di evitare che oltre ai dazi, a pesare nella esportazione dei prodotti ci sia una illegittima concorrenza tra Stati e negli Stati, con il bollino di promozione da parte di una politica europea che non sa fare bene il proprio mestiere. Magari, allargando le maglie del divieto degli aiuti di Stato, per le istituzioni territoriali più deboli e più penalizzati dai sopravvenuti dazi...