alle urne

I referendum? una prova umana non politica: chi va al mare sappia che... C’è ancora domani

enrica simonetti

Il vero errore di queste ultime settimane è stato quello di plasmare i quesiti, di renderli una prova di forza, senza centrare il dibattito sugli argomenti

Un’ombra nera si agita sui referendum: è quella della politica con la «p» minuscola, quella che ha trasformato i quesiti a noi proposti per le votazioni di oggi e domani in una contesa tra destra e sinistra.

E invece, cos’è un referendum? Non è votare per un partito o per un altro, ma solo esprimere il proprio parere su un tema. Il vero errore di queste ultime settimane è stato quello di plasmare i quesiti, di renderli una prova di forza, senza centrare il dibattito sugli argomenti sui quali siamo chiamati a dire sì o no.

Guardiamo bene tutte e cinque le domande: è una materia non politica, ma democratica, umana: si parla di lavoro, di sicurezza e di cittadinanza per gli immigrati stabili. A ciascuno la sua scelta, ma è un peccato boicottare e andare al mare.

Sono questioni concrete, sulle quali chissà quante volte abbiamo preso posizione, ora deprecando la precarietà del lavoro giovanile, ora commentando i tanti terribili incidenti sul lavoro, quelle vite strappate per una «leggerezza» nella sicurezza. E poi i migranti. A volte osserviamo il mondo e ci meravigliamo: come può la legge essere tanto distante dalla realtà? Abbiamo la possibilità di cancellare norme che non rispondono più alla vita attorno a noi, in un Paese che cambia velocemente e in cui gli stranieri stabili e onesti, con un lavoro e un reddito, possono guadagnarsi anche il diritto di ottenere la cittadinanza in cinque e non più dieci anni.

Eppure, divisi alla meta. Purtroppo bistrattati dallo stesso governo, i quesiti referendari vanno invece al di là; fermarsi al non-voto rischia di essere un atto privo di significati, circondato da fake news e disfattismo. In realtà è da temere che pochi abbiano letto e compreso tutto e quindi alla fine l’astensione di massa fa parte delle mille scelte comode che ci circondano. Un peccato, perché - è bene ricordarlo - per i referendum si spendono soldi pubblici e il non-voto è una risposta deludente. Ma è possibile non non avere un’idea precisa su come sia a rischio la dignità umana? Esprimere un sì o un no?

Partiamo dalla fine: il quinto quesito, quello sulla cittadinanza. In questi giorni si sono moltiplicati sul web i video di ragazzi o di padri e madri di famiglia che ormai si sentono italiani, vivono e lavorano qui, o sono andati a scuola da noi. Uno ha l’accento romano e la pelle scura; una ragazza immigrata che vive in Sicilia racconta di come sua sorella più grande sia già cittadina italiana e lei invece debba aspettare ancora i fatidici 10 anni.

Viviamo tempi strani, con venti di chiusura che sembrano folate di insensibilità: Trump perseguita i ricercatori di Harvard non americani e indica i Paesi dai quali non si potrà entrare negli Usa; ecco, l’Italia, l’Europa possono opporre con la speranza, con i diritti, quasi rispondendo idealmente agli ignobili muri di una comunità umana che ha perduto il senso.

E ancora, il quarto quesito referendario, quello che riguarda gli incidenti sul lavoro. È inaudito assistere inermi ad una strage continua, dovuta anche a tante «dimenticanze» delle cosiddette ditte appaltatrici, a volte improvvisate, che non hanno fino ad oggi alcuna responsabilità in caso di incidente. Forse, mettere in regola questo settore non sarebbe male, tra l’altro vedendo cosa accade in altri Paesi europei in cui la responsabilità condivisa ha reso tutti più rispettosi delle norme di sicurezza. Ma noi, nulla, non votiamo e poi magari indichiamo: «Guarda lì, operai tutti senza caschetto, assurdo!». La responsabilità allargata non potrà bloccare le stragi sul lavoro ma arginarle forse sì.

Terzo, secondo e primo quesito: tutti riguardano il lavoro, tutti hanno a che fare con quel «come siamo diventati». Contratti di un anno senza causale, licenziamenti, flessibilità per le aziende… quest’ultima, sì, imposta spesso dalla crisi, ha il suo lato B che è nel «paesaggio» che abbiamo attorno e fingiamo di non vedere. Un universo giovanile in bilico accetta di tutto o resta al palo e sappiamo tutti che l’emergenza del lavoro e della dignità è anche un’emergenza sociale.

Sono queste le piaghe che – come in uno specchio – si riflettono sul nostro vivere quotidiano in una giungla di rabbia e di paura. Beh, e che facciamo? Davvero andiamo al mare? Però c’è ancora domani...

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