L'analisi

Essere o non essere il Tycoon e la (finta) follia dei dazi in una società sempre immatura

Ettore Jorio

Il presidente USA sembra, infatti, essere un ottimo simulatore di ciò che non c’è ma anche un buon dissimulatore di quello che c’è

In una bella e recentissima intervista, il premio Nobel 2021 Giorgio Parisi, a proposito delle uscite a contenuto (molto) alterno di Donald Trump, metteva (assai) in dubbio la sua spontaneità. Ricordando l’Amleto che si finge pazzo, ha in sostanza detto che, alla corte statunitense, nelle parole del leader c’è del metodo nella sua follia. Detto da un fisico di così prestigiosa eccellenza, c’è da credergli.

Il presidente USA sembra, infatti, essere un ottimo simulatore di ciò che non c’è ma anche un buon dissimulatore di quello che c’è. Dazi qui, dazi lì, poi dazi da nessuna parte. E intanto il mercato gli dà torto ovunque. Sfida la Cina sulle dodici riprese, salvo poi rinunciare allo scontro. Ammissioni di nefandezze da carta igienica alternate a qualche orrendo balletto, anticipano una verosimile raccolta di quattrini per proteggere l’Occidente europeo. Ciò, per tenerlo sotto scacco così come fatto sino ad oggi, seppure garantendo il protezionismo Nato.

Su tutto, viene tuttavia fuori il verosimile sospetto dell’esistenza, e come, di un metodo nella sua follia di avere praticato insider trading ad altissimo valore aggiunto. Una accusa diretta del senatore democratico Adam Shiff che riprende quanto affermato dallo stesso Trump. I suoi amici (tra tutti, Charles Schwab) - è stata la sua ammissione - hanno guadagnato miliardi di dollari approfittando dei naturali marosi registrati dalle Borse, causati dal panico terracqueo con danni peggiori di quelli prodotti dagli tsunami.

E, pensando a questo, sono in tanti ad intravedere un metodo scientifico nella sua follia!

Tutto ciò, concepito e messo a terra sfacciatamente da Trump, mette paura addosso a chiunque. Lascia correre nelle vene il pericolo di reiterazioni della follia metodologica ovunque, attraverso la quale ci sarà la «pazzia del politico di turno» pronta a battere, strategicamente e a fini di portare a casa enormi guadagni, gli algoritmi che oramai fanno delle gestioni di capitali privati il sito maggiormente occupato dalla IA, che consente guadagni facili di indebite commissioni anche ai gestori di turno.

E già, perché ogni genere di follia resa a metodo cambierà di colpo ogni previsione algoritmica del mercato salvo poi ritornare dopo qualche giorno nella normalità. In mezzo, tanti ovvi e facili guadagni, di proporzioni gigantesche, di chi ha venduto titoli non posseduti per poi ricomprarli a prezzi stracciati. La montagna russa degli acquisti al ribasso e delle vendite al rialzo consente a chi sa, prima, di fare affari d’oro.

Insomma, una tale preoccupazione metterà in crisi il sistema borsistico, quello monetario, delle obbligazioni e dei titoli di Stato, nonché muterà sensibilmente la scansione dei beni e valute di rifugio (oggi oro e franco svizzero).

Ebbene, un tale brutto esempio ingenera una preoccupazione più allargata. Essa riguarda l’esercizio delle leadership della politica che assumono più una caratteristica affaristica-imprenditoriale. Tale da concretizzare fisionomie del (molto) passato e rimaste in piedi in taluni Stati per decenni (in talaltri anche attuali), prevalentemente africano-asiatici, ma anche sudamericani, ove fare il «presidente» diventa un mestiere, al quale è consentito di tutto e di più. Un fenomeno che oggi si estende ovunque, sino ad arrivare a celare metodi di conduzione della politica ove la «stranezza» resa pubblica diventa la cinghia di trasmissione che porta ai business da realizzare con un preciso metodo. Quello della follia figurativa, che arriva a rintracciare, tra i comuni disprezzi, persino delle simpatie, di quelle che si dedicano ai clown.

A proposito dell’apparire, esso è diventato lo strumento che, nel tempo, ha preso il posto dei contenuti. L’esercizio della politica, lanciata alla conquista degli scranni che contano, è divenuta sempre di più «alla celluloide». Si è così venuta ad insediare una sorta di cinematografia politica, distribuita ovunque. Un metodo che di per sé si avvicina alla follia del convincimento estemporaneo, a prescindere da ciò che si intende fare ovvero di cosa si faccia. Per essere in cima ai folli gradimenti della società sempre più immatura e soggetta ai social, basta apparire in continuazione e far passare come efficiente la messa a terra anche di una sola piccola parte assolta dei propri doveri istituzionali, purché promossi, doverosamente e reiteratamente. E da qui, il ritorno all’Amleto, atto 3, scena 1, di William Shakespeare: to be, or not to be, that is the question!

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