L'analisi
Dalla parola al «prompt» l’intelligenza artificiale ha bisogno degli umanisti
L’errore non è la macchina. È pensare che possa pensare da sola. Ogni volta che un progresso tecnologico si affaccia sulla soglia della storia, si ripresenta un errore antico: pensare che la macchina detronizzi l’uomo
L’errore non è la macchina. È pensare che possa pensare da sola. Ogni volta che un progresso tecnologico si affaccia sulla soglia della storia, si ripresenta un errore antico: pensare che la macchina detronizzi l’uomo, che l’algoritmo cancelli il pensiero, che la tecnica sostituisca la cultura. E invece accade il contrario: l’intelligenza artificiale non è la fine delle scienze umane, ma la loro sublimazione. Per comprenderlo, bisogna tornare all’origine. E l’origine, per l’uomo, non è il silicio. È la parola. - In principio era la parola - (il verbo). Ogni pensiero inizia con un lemma. Lo sapeva Varrone, lo intuiva Platone, lo ammoniva Wittgenstein: - i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo -. La filosofia, la storia, la letteratura, l’etica – tutto l’universo umanistico – non è che una lunga costruzione semantica. Le parole non servono solo a comunicare: servono a pensare.
Senza parola non c’è concetto. Senza concetto non c’è discernimento. Senza discernimento non c’è scelta. E senza scelta, l’uomo non è libero.
Ecco perché il vocabolario è potere. Ecco perché il pensiero umanistico non è un orpello, ma una condizione necessaria per qualsiasi atto di intelligenza, artificiale o naturale.
Oggi chiamiamo prompt ciò che un tempo si chiamava lemma: un’esca semantica, una scintilla razionale, un inizio. Ma il prompt non è mai neutro: porta con sé tutto il peso culturale della parola, la sua etimologia, la sua storia d’uso, i suoi simboli e le sue ambiguità. Scrivere un prompt non è un’operazione tecnica. È un atto umanistico. Ed è qui che le scienze dure rivelano il loro debito verso le scienze umane. Perché senza il lessico, la logica, la sintassi, la retorica, la macchina non può nulla. I suoi circuiti si accendono, ma non significano.
C’è un enigma inciso su pietre antiche in tutta Europa: SATOR / AREPO / TENET / OPERA / ROTAS.
Un palindromo perfetto, una simmetria totale, un algoritmo ante litteram. Ma anche un atto poetico. Un gioco di parole e strutture che chiede di essere interpretato, vissuto, pensato.
Cos’è, se non un prompt arcaico? Un codice che funziona solo se si conosce la lingua, se si penetra nella logica simbolica del testo. Esattamente come un prompt moderno. Non a caso, SATOR significa «seminatore» e perciò anche e soprattutto il «Primo» seminatore, Dio, la Parola. È colui che semina parole e dunque pensieri. È l’umano che genera il senso, prima che l’intelligenza (artificiale) lo elabori.
Ecco il punto: l’IA, nella sua forma più avanzata, è una prosecuzione più spedita, veloce, delle scienze umane. Non nasce nel vuoto, ma si nutre di testi, storie, diritto, letteratura, filosofia. Senza il pensiero umano, la macchina non ha nulla da imitare. Senza parole, non ha nulla da dire.
Chi oggi guida l’intelligenza artificiale, chi la progetta, chi la interroga, chi la educa, ha bisogno di umanisti. Di chi sa usare le parole. Di chi conosce la differenza tra una definizione e un significato. Di chi sa che «giustizia» non è una funzione, ma una domanda morale. Che «amore» non è una categoria psicologica, ma un tema spesso tragico. Che «l’identità» non è un dato immodificabile, ma una costruzione fragile.
Solo chi possiede questo sapere può educare le macchine a generare senso, e non solo dati.
L’intelligenza artificiale è una metamorfosi. Una possibilità. Ma, come ogni possibilità, attende di essere abitata. E sarà il nostro grado di cultura, di umanità, di interiorità a decidere che volto avrà.
Non basta avere strumenti. Bisogna avere una coscienza.
L’avventura, dunque, non è solo tecnica. È spirituale, morale, culturale. Sta nel ricordarci che le scienze umane non sono finite: sono diventate più indispensabili.
Perché ogni prompt è una parola. E ogni parola, prima di essere scritta, è stata vissuta. Prima di essere codice, è stata carne. E il pensiero, anche quello artificiale, nasce sempre da lì.