L'analisi
Lo scontro Trump-Zelensky, cronaca di tutto quello che non si è voluto vedere
Nessun agguato, nessuna trappola. Trump ha realmente accolto Zelensky secondo l’etichetta diplomatica, ha davvero pronunciato le parole qui riportate
Quanto disgusto ha provocato vedere Donald Trump che bullizza Volodymyr Zelensky di fronte al mondo? Quanta cattiveria, quanta cafonaggine, quanto spregio del minimo buon senso. Una trappola, certamente. Di sicuro scene da cancellare e magari da sostituire con una favola diplomatica da scrivere qui e ora, quasi a poter capovolgere quanto accaduto con il potere dell’immaginazione. Immaginate, dunque. Immaginate quanto bello sarebbe stato se Zelensky fosse stato accolto da Trump con queste parole: «È un onore avere qui il presidente dell’Ucraina. Abbiamo lavorato a lungo e bene per i nostri due Paesi, per il mondo. Ora bisogna trovare un accordo». E ancora che piacere per le orecchie sarebbe stato sentire il tycoon lodare il valore degli eroi di Kiev con un ragionamento del genere: «I tuoi generali e i tuoi soldati sono grandi combattenti. Quanto coraggio, dovresti esserne orgoglioso». E che inno alla bellezza se di fronte alla domanda impertinente di qualche giornalista, di certo filo-russo, imbucato alla conferenza («ma perché non indossa mai un abito?») fosse stato proprio il presidente americano, con eleganza, a difendere il collega: «A me piacciono i tuoi vestiti». Immaginare riscalda il cuore. Avanti, allora. Perché qualche polemica può divampare pure nelle favole. Magari quella su chi ha aiutato di più l’Ucraina, con Trump che afferma sorridente «Gli Usa!» e l’amico Zelensky che ribatte: «No, l’Europa». E giù di battibecco: più noi, più loro, più noi, più loro. Fino a una risata liberatoria che affratella tutti. Che sogno.
Sarebbe bello, vero, se fosse andata così? Bene, è andata esattamente così. Nessun agguato, nessuna trappola. Trump ha realmente accolto Zelensky secondo l’etichetta diplomatica, ha davvero pronunciato le parole sopra riportate. Se il mondo non si fosse limitato ad ascoltare i cinque minuti della lite finale, ricamandoci sopra drappi di fantacronaca, ma si fosse preso la briga di ascoltare i 50 minuti della conferenza lo saprebbe. Purtroppo, non è semplicissimo rintracciare la versione integrale dell’incontro. Capite bene, non è igienico vederla tutta. La si trova, non a caso, soprattutto su X, il social del nazi-robotico Elon Musk, la stessa piattaforma, unica al mondo, su cui circolavano i filmati dei palestinesi massacrati a Gaza, censurati invece dal blocco Meta che piace tanto ai cultori della democrazia.
Ma tant’è. Trump e Zelensky sono andati di fioretto per quasi quaranta minuti. Poi, il presidente ucraino ha iniziato ad alzare il tiro. A contraddire il presidente americano puntigliosamente. Ma soprattutto a innervosirsi perché il tycoon non lo assecondava nella narrazione del Putin criminale. «È un assassino, un terrorista, vuole distruggerci. Dopo l’Ucraina passerà alla Polonia e ai Baltici». Per poi aggiungere, senza spiegare come le due cose si tengano, che il leader russo ha già perso 700mila uomini e dunque, di fatto, «ha perso tutto» (ma è pronto a conquistare il mondo). Trump non raccoglie, né ribatte. Semplicemente lo ignora. Zelensky inizia a ballare sulla sedia, a spazientirsi. Non se ne capacita. È abituato a saltellare come una madonna pellegrina tra democratici ed europei, più russofobi di lui, tra quelli cioè che finora lo hanno armato, sostenuto, convinto di poter vincere, confidando in un conflitto infinito che logorasse o, magari, distruggesse Mosca. Nulla a che vedere con l’evidenza di una guerra ormai chiusa. E così Zelensky attacca ancora. Profetizza che Putin tradirà gli accordi e che l’impegno di Trump non è garanzia sufficiente (un’offesa, di fatto). Quando il tycoon evidenzia di dover essere, gioco forza, equidistante - un arbitro, un mediatore - perché solo in questo modo si può costruire un negoziato («non posso insultare Putin e poi telefonargli»), Volodymyr finge di non sentire: «Gli Usa siederanno al tavolo come primo alleato dell’Ucraina». Buonanotte. Niente, non c’è verso. Vuole fargli dire che Putin è un mostro. Trump, con una pazienza di Giobbe, si sfila: «È meraviglioso parlar male di qualcun altro, ma così non si trovano accordi».
Si va avanti, quindi. I toni salgono. Il leader ucraino si accapiglia con il vicepresidente J.D. Vance che lo accusa di non aver detto «grazie» nemmeno una volta in 43 minuti. Ed è solo ora, dopo tutto questo, che Trump perde la calma: «Non stai vincendo. Sei sepolto lì, tutti muoiono, stai finendo i soldati. Resisti grazie a noi. E vieni a dirci che non vuoi il cessate il fuoco? Sai solo dire voglio questo, voglio quello. Stai giocando con la terza guerra mondiale». Soltanto a questo punto Zelensky ammutolisce. È successo l’indicibile. Per la prima volta da tanti anni, in Occidente, qualcuno ha detto la verità. Ma per fortuna l’ha detta Trump. E quindi non vale. Possiamo tornare a lucidare i fucili per vincere, finalmente, la guerra già persa.