L'analisi

Dal web a Roccaraso: ecco il mondo di bambole e cafoni

Rossana Gismondi

Non vorrei essere ripetitiva: ma la colpa, la responsabilità di questo sfacelo che cancella anni di lotte giovanili e femministe è in larghissima parte della Rete (ricordate Eco? «Internet aprirà le porte a legioni di imbecilli») passando dalla televisione, pure

Le vedi in giro, in Rete. Peggio, le incontri per strada, di sera, strafottenti, e la tentazione di cambiare lato della strada è forte.

Le riconosci, con le ciglia finte indossate con la stessa nonchalance di una ragazza immagine sul cubo in discoteca, a spingere il carrello del supermercato di prima mattina. Le trovi, sguaiatamente urlanti al telefonino, nella sala d’attesa del dermatologo: mentre tu sei lì per farti controllare un neo, loro attendono, cash alla mano, per farsi «abbottare» le labbra o aumentare la protesi del seno misura 5, pronto a sfidare, in spiaggia, qualsiasi legge di gravità terracquea. Le riconosci anche se non le vedi: comunicano tra loro come se il mondo non esistesse (ed effettivamente esiste solo il loro) invariabilmente ad alta voce, alternando vocalizzi e suoni gutturali in un misto di atteggiamento e rigoroso dialetto, tra Gomorra e Marefuori.

Per la maggior parte sono tutte chiacchiere e silicone, nel senso che l’essere rispetto all’apparire è assorbito, scomparso in quella sorta di filo interdentale che gli separa le chiappe più finte delle ciglia. Ora: il panorama, drammatico, di questa nuova mutazione femminile, è variegato ed ampio. Peggio, trasversale a tutte le età, ma ancora ben delimitato in alcune fasce di popolazione dove, al di fuori da ogni legge sociale e legale, ogni testa è tribunale: nel senso della legge della giungla e del «faccio come mi pare».

Non vorrei essere ripetitiva: ma la colpa, la responsabilità di questo sfacelo che cancella anni di lotte giovanili e femministe è in larghissima parte della Rete (ricordate Eco? «Internet aprirà le porte a legioni di imbecilli») passando dalla televisione, pure. In tv - e non solo in tv - dagli anni Ottanta è stato tutto un trionfo di femminilità a zinnone in fuori e culoni a mandolino, dai tempi del Drive in di biscionesca memoria (alla faccia del simbolismo).

Fino ai giorni nostri: con il rap, la trap, il trash che riducono la donna, tra immagine e linguaggio, peggio di un tappetino usato e abusato. Il tutto molto molto lontano dalla realtà di questo mondo, certo: ma molto molto rappresentativo del mondo che questi soggetti vivono. Basti guardare a ciò che è successo alla sventurata Roccaraso, invasa da 200 pullman, grazie al richiamo della giungla digitale.

Il tempo in cui ci è dato vivere, perso in un nulla cosmico, pullula di cafoni e tiktoker, ignoranti e influencer, delinquenti con migliaia di follower. E le donne, purtroppo, ridotte a bambole gonfiate, imperversano più degli uomini in un avanzamento di genere (si fa per dire) di cui avremmo fatto volentieri a meno.

Giusto per restare in Rete e per restare a casa nostra: nel nord barese un padre è finito in tribunale accusato di maltrattamenti alla figlia 13enne. La ragazzina ha raccontato di aver chiamato il 114 poiché il genitore - per punizione- le aveva tolto il telefonino.

Più di 10 ore al giorno a scrollare social , per la gioia economica dei vari padroni della Rete (o Padroni del Mondo?) e una sfilza di brutti voti a scuola. Scuola in cui, se non altro, i libri non mandano il cervello all’ammasso da botulino.

Se i maltrattamenti sono questi, beh: più che una denuncia quel papà avrebbe meritato una medaglia. Vera, non virtuale.

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